Abbiamo interpellato il cardinale Camillo Ruini, grande protagonista, da presidente della Cei, della stagione giovanpaolina e, a tutt’oggi, acutissima espressione di intelligenza cattolica. Ha accettato di rilasciare a Tempi dichiarazioni su due temi che gli stanno particolarmente a cuore. Il primo riguarda i cosiddetti “valori” o “princìpi” non negoziabili, rispetto ai quali i sondaggi (vedi la Stampa di venerdì 1 febbraio) abbondano in svalutazioni, poiché, dicono, agli italiani interesserebbero solo i problemi economici. Ruini ci ha così risposto: «Se si parla solo di valori e princìpi la gente può avere l’impressione che si tratti di cose astratte e che oggi le urgenze siano altre. Se invece si parla, ad esempio, di famiglia l’interesse è molto alto, perché tutti sanno per esperienza quanto la famiglia sia importante, a tanti livelli, compreso quello economico. In concreto, nessuno contesta la libertà delle persone, compresi naturalmente gli omosessuali, di unirsi tra loro come meglio credono. La questione è se si tratti di una vera famiglia: le persone di buon senso, siano o meno credenti, si rendono conto che compito fondamentale della famiglia è generare ed educare i figli e che i figli, per crescere bene, hanno bisogno di un padre e di una madre. Da qualche anno, in Italia come in tutto l’Occidente, è in atto una grande campagna mediatica per contraddire questa certezza elementare, ma io confido che gli italiani, un popolo ricco di buon senso, non si lasceranno ingannare facilmente».
Alla seconda domanda, sull’Imu al no profit, che Tempi ha ribattezzato “tassa sulle opere di bene”, il cardinale risponde: «L’Imu ha molti aspetti problematici. Quanto all’Imu sulle “opere di bene”, ad esempio sulle scuole non statali, cattoliche e laiche, mi sembra una vera assurdità, perché queste opere, scuole comprese, nella maggior parte dei casi lavorano in perdita e sono un aiuto per le famiglie, i giovani, i poveri e anche per lo Stato che spenderebbe molto di più se dovesse farsi carico direttamente di queste necessità. Quindi una tassazione può avere senso per chi guadagna, ad esempio con una scuola non statale, non per coloro, e sono la grande maggioranza, che invece le gestiscono in perdita».