Per qualcuno è un redivivo. Ma sbaglia di grosso. Perché Gianni De Michelis, in questi anni di Seconda Repubblica imperante, è stato un esempio del vecchio “non mollare”. Un testimone e un protagonista, spesso ingiustamente osteggiato, di una grande stagione del riformismo socialista. Di lui, Bettino Craxi diceva: «è un generoso. Portato in alcune occasioni a sbagliare per questa sua generosità». Ma questa volta il signore veneziano non ha sbagliato. Ha tenuto duro, mentre tutti lo guardavano come una specie di sognatore nostalgico, e alla fine ce l’ha fatta, andandosi a guadagnare un rotondo due per cento alle elezioni europee con il suo Nuovo Psi e insediandosi con un successo personale al parlamento di Strasburgo.
Allora, signor eurodeputato Gianni De Michelis, siete ritornati?
Diciamo che abbiamo superato una prova decisiva. è quella che io chiamo “la prova del budino” in una democrazia. Mostrare la faccia, vedere se ci siamo. Non era semplice in questa occasione, con il proporzionale alle elezioni europee, dove ci si presentava con la propria identità, la propria storia. Ci abbiamo provato e abbiamo superato la prova. Da un certo punto di vista possiamo anche dire che, date le condizioni, è stato un risultato straordinario. Ma siamo coscienti che tutto questo è solo un primo passo. L’area socialista in Italia è molto più ampia del due per cento. C’era chi non credeva e ora ci crede. C’era chi stava a guardare e ora deve prendere atto di un segnale importante. Adesso dobbiamo ricostruire una grande presenza dei socialisti in Italia, non tanto, si badi bene, per fare un’operazione di nostalgia, quanto per fornire al paese, all’Italia una cultura, una politica che ha dato tanto e che può offrire ancora tanto.
Però lei ritorna da protagonista su uno scenario politico complicato, confuso, dove è persino difficile trovare il bandolo della matassa per uscire da una crisi che, non a pochi, appare addirittura di sistema.
è verissimo, siamo in una situazione molto difficile da un punto di vista politico, istituzionale e sfavorevole in campo economico. Ma, se mi permette, vorrei dire innanzitutto che non dipende da noi, anche se tutti siamo coinvolti ed è quindi inevitabile che questa crisi possa riversarsi sfavorevolmente anche su di noi. Il quadro politico è complicato e in pieno movimento. Vorrei dire che c’è anche una grande dose di irrazionalità che produce confusione e ci può portare verso una crisi profonda. Tuttavia è proprio da queste situazioni che si può uscire rafforzati, correggendo gli errori che si sono fatti in questi anni. Che significato ha infatti il risultato del voto? è potenzialmente favorevole a un progetto diverso da questo quadro bipolare, che io chiamo “all’italiana”, perché è oggettivamente anomalo. Il risultato elettorale è un segnale forte contro questo quadro di bipolarismo “all’italiana”. Direi che bisognerebbe prendere atto di un fallimento, che occorre chiudere con questa Seconda Repubblica, con un decennio di non governo.
Scusi, ma qui c’è il rischio che vada per aria il governo nel giro di pochi mesi. La situazione si è fatta concitata, con una serie di colpi di scena a ripetizione.
Ne sono pienamente cosciente e sarebbe grave che il governo cadesse. Ero presente durante la notte della defenestrazione di Giulio Tremonti e mi è sembrato una sorta di psicodramma, che aveva addirittura limitati risvolti politici, se così posso dire. è invece interesse del paese che il governo riesca a coprire l’intero arco della legislatura. In questi prossimi due anni, fino al 2006, si devono affrontare molti problemi, problemi decisivi per il futuro dell’Italia. La cosa peggiore sarebbe affrontarli con una politica di piccolo cabotaggio, con un tirare a campare o, peggio ancora, con un vuoto di potere. Anche le elezioni anticipate sarebbero un pessimo segnale. Io vedo in tutto questo responsabilità collettive che devono riscattarsi con un compromesso ragionevole di governo. Ci sono responsabilità anche del presidente del Consiglio, che deve conferire un indirizzo di coalizione alla compagine di governo.
Scusi la domanda a bruciapelo, De Michelis. Non le sembra che la situazione del paese, quella del governo, i rapporti tra le forze politiche, l’inconsistenza che si nota a destra e a sinistra di questo bipolarismo “all’italiana”, non siano che il risultato di una vendetta della politica che si era abbandonata deliberatamente?
Non chiamiamola vendetta, chiamiamola piuttosto rivincita. è ormai noto che in democrazia c’è l’effetto di una sorta di pendolo tra politica e antipolitica. Di solito, la logica dell’antipolitica prevale, nell’opinione pubblica, quando le cose vanno bene. Questo è accaduto all’inizio degli anni Novanta. Sul piano internazionale era scomparso, evaporato, dissolto il pericolo comunista con l’implosione dell’Urss e, checché se ne dica, la situazione economica era buona, favorevole. In quegli anni molti hanno cavalcato la logica dell’antipolitica: Lega, Berlusconi e pure i comunisti per pura convenienza. è così che si è arrivati a un non governo dell’Italia per dodici anni. Poi ci si è accorti che non c’era più il totalitarismo comunista, ma sullo sfondo si profilava il totalitarismo islamico con cui occorre fare i conti. In più ci si è messa la situazione economica, tutt’altro che buona, e si è affacciata un’ipotesi, fondata, di declino produttivo e di sistema. La gente ha cominciato a comprendere che non ci si arricchisce più, anzi, che è calato il potere di acquisto, che è aumentata la quota di popolazione a rischio di povertà. E a questo punto che è rispuntata una domanda di politica. Il pendolo dell’opinione pubblica si è orientato da un’altra parte e la gente ha compreso che i partiti saranno pure una cosa orribile, ma sono sempre meno peggio di tutte le altre forme di organizzazione sociale e politica.
Cambiamo argomento De Michelis. Lei, per la seconda volta nel giro di due anni, è ospite del Meeting di Rimini. Che cosa ne pensa di questa kermesse dove si parla di tutto, Dio, cultura, mostre d’arte, imprenditoria, politica? Potremmo continuare l’elenco, ma è troppo lungo.
Io devo riconoscere, a prescindere dalle simpatie o dalle antipatie che si possono nutrire nei confronti del movimento di Comunione e Liberazione, che il Meeting di Rimini è diventato l’avvenimento più importante per misurare la temperatura del paese. è ormai un grande avvenimento, dove ci si misura in un confronto aperto tra uomini di posizioni differenti. A mio avviso rappresenta un test importantissimo. A me capita spesso di pensarci e di vedervi una sorta di rapporto Censis, ma non sulla carta, vivo, che hai sotto gli occhi. Direi di più, da quel confronto aperto e libero, sembra di immergersi in una sorta di maxi focus group dove comprendi appunto gli umori reali del paese.
Ai tempi della Prima Repubblica lei è stato per tanti anni alla Farnesina. Al Meeting di Rimini è stato invitato soprattutto per la sua competenza in politica estera, per contribuire a un’analisi dettagliata della situazione in Medio Oriente, per comprendere la politica euromediterranea dell’Italia. Mi sembra doveroso chiederle che cosa ne pensa dell’attuale situazione irakena e, più in generale, di tutto quel teatro mediorientale in fibrillazione, con le conseguenti divergenze createsi in Occidente.
Malgrado i profeti di sciagure e gli scemi che continuano a sventolare la bandiera della pace, si può dire che la situazione sia migliorata. Non bisogna farsi illusioni, ma gli americani hanno corretto i loro errori, si è ricucito lo strappo in Europa e si è, in parte, ricucito lo strappo tra Europa e Stati Uniti. Inoltre devo dire che ci si è mossi meglio nei rapporti tra Occidente e la maggioranza dei paesi arabi moderati. Tutto questo ha portato a un isolamento del fondamentalismo islamico e della forza armata terroristica. Vorrei aggiungere un’altra cosa: persino nel rapporto tra arabi e israeliani si può vedere uno spiraglio favorevole. Certo, non si può cullarci nell’ottimismo, bisogna continuare a lavorare con grande passione e responsabilità, coscienti delle grandi difficoltà. Ma forse, se non si commettono altri errori, si può cominciare a vedere una luce in fondo al tunnel dove ci troviamo.