Secondo la tabella di marcia delle riforme annunciate da Renzi, a breve toccherà alla pubblica amministrazione. In Italia nessuno dubita della necessità di trasformare il meccanismo dello Stato, di eliminare ritardi intollerabili e di recuperare efficienza. Nessuno però sa quali saranno i punti qualificanti della riforma: si è sentito parlare di tagli alle prefetture e agli uffici a esse collegate, ma non si coglie che accadrà in concreto.
Eppure, prima di porre mano all’articolazione periferica dello Stato, a quella che spesso – nonostante lentezze e incapacità – tiene in piedi la baracca, si dovrebbero conoscere, con gli obiettivi di massima (tutti vogliamo che gli uffici pubblici funzionino meglio, ma dire solo questo è un po’ poco), anche i nuovi assetti. E magari spiegare come e con chi raggiungerli.
Scrivo questo perché, mentre Renzi mostra di voler fare presto e bene, i settori chiave del suo esecutivo appaiono bloccati. È sufficiente, a titolo di esempio, fare la foto a tre palazzi delle istituzioni, collocati in altrettanti “larghi” romani: Chigi, Viminale e Arenula. Parto da quest’ultimo: al ministero cruciale della Giustizia sono ancora scoperti i vertici del dipartimento della giustizia minorile (ha un reggente con un incarico ad interim) e del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria: cioè della struttura che si occupa di carceri e di polizia penitenziaria, in un momento in cui sulle carceri rischia di partire la procedura europea di infrazione.
Al ministero dell’Interno è privo di vertice il dipartimento dell’immigrazione – per il quale vale ancora di più quanto osservato per le carceri –, mentre il capo dipartimento del personale (figura essenziale in questa amministrazione) è ad interim capo di gabinetto: la funzionaria che si occupa di entrambi è bravissima, ma sono due incarichi assai gravosi.
Da febbraio i due ministeri in questione non hanno ancora costituito la commissione sui programmi di protezione, quella che si occupa dei “pentiti” e dei testimoni di giustizia: il settore è paralizzato. Se cercate il direttore dell’agenzia per i beni confiscati, sul sito leggerete “in attesa di nomina”: l’attesa dura da mesi, nel frattempo l’enorme tesoro sottratto alle mafie è fermo. Il dipartimento delle politiche antidroga è privo di direttore: il tema è diventato sociologicamente marginale?
Chiudiamo il tour con palazzo Chigi. Renzi ha cambiato il segretario generale e il capo dell’ufficio legislativo (acronimo della struttura: Dagl), sostituendo chi c’era con persone probabilmente valide, ma provenienti da esperienze diverse: chi è andato al Dagl fino a qualche giorno prima comandava la polizia municipale di Firenze. Ora coordina gli uffici legislativi di tutti i ministeri, presiede all’attività normativa del governo, tiene i rapporti con l’avvocatura dello Stato, si occupa dei contenziosi davanti alla Corte costituzionale e alle corti europee, e altro ancora.
Nella nostra storia recente importanti riforme della pubblica amministrazione hanno provocato non pochi guasti: dalle leggi Bassanini, con l’abbassamento dei controlli di legalità, alla modifica del titolo V della Costituzione, dalla quale sono cresciuti inefficienza e contenzioso. Eppure i tecnici che all’epoca assistevano il governo erano fra i migliori in circolazione. Oggi Renzi prospetta riforme forse più importanti con la macchina amministrativa che presenta i vuoti e le caratteristiche di cui prima si è fatto solo qualche esempio. Siamo proprio convinti che andrà meglio?