Anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola dal 14 gennaio (vai alla pagina degli abbonamenti) – Prima delle feste Luigi Di Maio diceva: «Non sono a favore della presunzione d’innocenza per i politici. Se uno è indagato, deve lasciare, lo chiedono gli elettori». Passate le feste è scoppiato il caso Quarto, il Comune campano al centro di una presunta vicenda di infiltrazioni camorristiche, dove il primo cittadino, Rosa Capuozzo, è del Movimento Cinque Stelle.
E qui è iniziato il cortocircuito perché, per la prima volta, i grillini si sono trovati dalla parte sbagliata della storia. Così hanno organizzato flash mob sulla legalità, hanno scritto un migliaio di volte «i voti della camorra fanno schifo», si sono insultati fra di loro su internet finché hanno prodotto il documento politico più ridicolo che si ricordi a memoria d’uomo.
Il 10 gennaio sul blog di Grillo è apparso un post a firma M5S nel quale, prima, ci si vanta perché Capuozzo non si è piegata alla Camorra, anzi nella vicenda è «parte lesa», e poi, una riga dopo, si chiedono le sue dimissioni. «La strada dell’onestà ha un prezzo», scrivono i grillini. Ma qui l’unico prezzo lo paga non diremo il garantismo – scrupolo sconosciuto tra i pentastellati – ma l’intelligenza. Perché un sindaco non indagato, anzi difeso dal suo partito, si deve dimettere? Perché Roberto Saviano ha invitato i grillini a non avere fra di loro alcuna «blackstar»? O perché il pm Henry John Woodcock conduce le indagini?
Ora che è arrivata anche la sentenza definitiva con la decisione di espellere il sindaco, Di Maio può aggiornare i suoi pensieri: «Non sono a favore della presunzione d’innocenza per i politici. Anche se uno non è indagato, deve lasciare, se lo dicono quei due».
Foto Ansa