Caterina Manco è dirigente dell’Istituto comprensivo di via XX settembre a Monterotondo, Roma. È, si può dire da sempre, all’avanguardia dell’innovazione e della sperimentazione didattica.
«Abbiamo incominciato a introdurre la flessibilità nella scuola media dal 1996/97, sulla base di una direttiva (“Programma nazionale scuola media”) dell’allora ministro Berlinguer, che faceva della flessibilità l’elemento fondante per una scuola media rinnovata, più capace di rispondere ai bisogni differenziati di tutti i ragazzi».
In cosa consiste questa “flessibilità”?
In una serie di attività opzionali, che i ragazzi possono scegliere sulla base sia di inclinazioni personali sia di suggerimenti degli insegnanti. Sono circa 150 ore all’anno (3-4 ore la settimana) in cui i gruppi-classe vengono riarticolati, con la creazione di laboratori sia orizzontali (con alunni di classi parallele) sia verticali (che mettono insieme alunni di prima, seconda o terza). In questo modo abbiamo potuto assicurare un’offerta formativa la più aderente possibile alla situazione di ogni studente.
Ma in questi laboratori mettete solo attività particolari, come quelle espressive o manuali?
Nient’affatto. C’è di tutto, dal potenziamento e recupero della lingua italiana all’uso degli strumenti multimediali (abbiamo un laboratorio di informatica dal ’96), dai laboratori di storia allo studio del latino. In stretta relazione con le attività curricolari comuni a tutti.
E gli utenti sono soddisfatti?
Tutti, sia i ragazzi sia le famiglie. E anche gli insegnanti, che vedono valorizzata la loro capacità professionale. Tant’è vero che quando è uscita la circolare sulla sperimentazione sono stati tutti d’accordo a estendere il modello anche alle elementari. Perché si è visto che permette a ciascuno di ottenere i migliori risultati rispetto alle proprie possibilità.
E adesso la riforma spazza via tutto…
Al contrario. Non fa che allargare all’intero sistema il nostro modello. Meglio, la possibilità di applicare modelli come il nostro. Perché il tempo scuola della legge 53 è una cornice elastica, in cui gli istituti possono mettere quello che vogliono. Al limite anche quello che già fanno oggi. Dipende tutto dalla professionalità degli insegnanti, dalla loro capacità di innovare, di inventare risposte ai bisogni reali.
E allora perché tutta questa opposizione?
Francamente non capisco. Collaboro da tempo con diverse scuole della Catalogna. È tradizionalmente una regione “rossa”. Lì il governo autonomista ha introdotto da anni un sistema del tutto simile a quello della riforma Moratti, e funziona benissimo. Molti dei dirigenti che oggi sono in piazza – potrei fare nomi e cognomi – hanno fatto negli anni scorsi esattamente le cose che oggi contestano. Mi pare che per dare addosso a un ministro o a un governo si buttino al macero l’esperienza e la professionalità di anni.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi