Jordi Pujol, 76 anni, è la leggenda vivente del nazionalismo catalano. Imprigionato ai tempi di Franco, poi presidente regionale della Catalogna per 23 anni, si è ritirato dalla politica attiva nel 2003.
Presidente, il nuovo statuto parlerà di “nazione catalana”, espressione che fa venire l’orticaria a molti spagnoli. Perché, secondo lei?
Perché l’idea dominante che la Spagna ha da secoli di se stessa è quella dell’uniformità, dell’assimilazione. Ma il processo di uniformazione ha incontrato resistenze basate sulla differenza di lingua, cultura e coscienza storica qui in Catalogna e in altre regioni. Perciò c’è sempre una tensione fra le due prospettive. Noi non vogliamo la secessione. Crediamo che la Spagna è un paese multinazionale, di nazioni che possono convivere nella stessa cornice. Negli anni in cui ha governato il mio partito (Convergència i Unió, ndr) abbiamo agito in questa prospettiva, con vantaggi sia per la Catalogna che per tutta la Spagna.
Lei è d’accordo coi contenuti che si stanno delineando nel nuovo statuto?
Non commento il negoziato sul nuovo statuto, ora che ho lasciato la politica, ma sono sicuro che alla fine sarà migliore di quello attuale, anche se sarà meno di quello che avevamo chiesto. Lo statuto votato dal parlamento catalano il 30 settembre 2005 resta il nostro obiettivo.
Molti criticano il dirigismo politico del nuovo testo e lo accusano di portare a compimento l’emarginazione della lingua castigliana.
È una bugia. Il castigliano gode di ottima salute in Catalogna, e continuerà a goderla. Certo, la scolarizzazione è in catalano, ma questa è una scelta indispensabile perché l’identità catalana non sia messa in pericolo dall’immigrazione, che siamo sempre stati capaci di integrare. Quanto al dirigismo, abbiamo dovuto enumerare dettagliatamente le nostre competenze solo perché i governi centrali hanno tentato di svuotarle in questi anni.
Lei ha detto che è tempo di spostare il discorso politico dai diritti ai doveri. Quali sono i doveri reciproci di Spagna e Catalogna?
La Spagna deve rispettare la diversità della Catalogna e non deve frenarla economicamente, politicamente o culturalmente. La Catalogna deve essere leale e contribuire alla stabilità politica e allo sviluppo economico di tutta la Spagna. Questi doveri li abbiamo adempiuti per 25 anni di seguito, adesso però il nostro contributo economico è diventato troppo oneroso, e va rinegoziato.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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