Sono passati due anni da quando Giuliano Pisapia fu accolto festosamente da una folla di milanesi adunatasi davanti alla Feltrinelli di Piazza Piemonte. Allora, la libreria straripava. Di lì a poco l’uomo “gentile” avrebbe ottenuto un risultato storico, diventando il primo sindaco rosso, o meglio “arancione”, di Milano. Ieri, alla presentazione del libro di Marco Severo, “Parma, Italia – Una città frontiera fra berlusconismo e democrazia a 5 stelle”, la sua presenza, e quella del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, non hanno mosso un grande pubblico.
SLOW REVOLUTION. I presenti in libreria? Una trentina; tra loro, un tizio un po’ grasso, in maglietta a maniche corte, indica il palco e Pisapia, e ringhia: «Cosa ci fa, qui?», «adesso presenta anche i libri?». Non è un berlusconiano. È un deluso della politica, incappato nella causa della sua delusione. E sta trattenendo la rabbia. «E quell’altro damerino chi è? Pizzarotti?». Il sindaco di Parma ha appena preso il microfono, interrompendo la moderatrice (di nuovo). Spiega che il suo mestiere non è «aggiustare le buca sotto casa, ma fare la rivoluzione culturale». Secondo Pizzarotti, mettere a posto le strade dissestate non «traccia una linea per il futuro. Meglio parlare di cultura».
Non la pensa così Pisapia, per il quale a volte anche sradicare alberi in nome della viabilità pubblica, come gli olmi di via Mac Mahon, è importante e difficile quanto fare una rivoluzione culturale: «Prima di intervenire abbiamo dovuto chiedere a decine di uffici tecnici». La rivoluzione è stata compiuta a Milano? Non ancora. «È un processo lento». A tarpare le ali del rinnovamento, dice Pisapia, sono i debiti, la crisi economica, lo Stato centrale che sottrae soldi ai comuni.
Qualcosa di rivoluzionario, il sindaco di Milano, però lo ha fatto: «Non abbiamo nominato trombati della politica nelle partecipate e abbiamo messo al caldo i senzatetto nell’inverno gelido di quest’anno andandoli a prendere uno a uno».
NESSUNA BACCHETTA MAGICA. Severo ha scritto un libro che parla di una «rivoluzione politica». Però deve confrontarsi con i limiti invalicabili della realtà. Il suo volume, ammette, dopo il voto di giugno e la disfatta dei 5 Stelle alle elezioni comunali, «forse non è più molto attuale». Per Pizzarotti non è così: «Noi 5 Stelle abbiamo vinto a Pomezia e Ragusa e in un’altra città». Però ricorda che nessuno ha la bacchetta magica. Pisapia concorda. Infatti, nessuno dei due sindaci pare sia approdato a risultati classificabili come “rivoluzionari”.
Come per il sindaco di Milano che non ha mai assunto «impegni che non potevo mantenere», anche Pizzarotti cerca di dimostrare di aver mantenuto le promesse. E l’inceneritore? Di quello, il sindaco di Parma, non ne vuole parlare. Ne ha abbastanza: «Colpa dei media che hanno voluto distorcere le mie parole». Non ha mai detto che avrebbe fermato l’inceneritore. Diceva che «avrebbe fatto di tutto per fermarlo». Una sottile differenza di cui i giornalisti non tengono conto: «Noi non potevamo sapere in anticipo quali contratti avesse stipulato il comune», spiega. Che importa se arringava la folla tenendo alto il vessillo con lo slogan “No inceneritore”? Che importa se l’inceneritore è partito lo stesso, con lui sindaco? Quello che conta è la rivoluzione culturale, che per ora è ancora rinviata a data da destinarsi.