San Paolo. Ci sarà un motivo se da dieci anni a questa parte la prima marca di pneumatici che viene in mente ai brasiliani è la Pirelli. E se nell’ultima edizione del Top of Mind promosso dalla Folha de São Paulo, il più grande quotidiano di tutta l’America latina, è risultata addirittura la marca industriale in assoluto più ricordata dai lettori di sesso maschile. Nel mondo, Pirelli è il quinto produttore mondiale di pneumatici, ma in Brasile è leader di mercato per il primo equipaggiamento delle case automobilistiche presenti in loco e per il ricambio nei segmenti auto, camion e moto.
Questo è il paese dove è concentrato il numero più alto di stabilimenti dell’impresa: 5 dei 22 totali sparsi in 13 Stati del mondo, dunque più che nel paese della casa madre, l’Italia, dove gli stabilimenti sono 3. La storia d’amore fra la ditta milanese e il Brasile è davvero antica: comincia nel lontano 1929 con una fabbrica specializzata nella produzione di cavi elettrici. Si passa alla produzione di pneumatici nel 1941, in quel di Santo André, un comune della cintura meridionale di San Paolo. Oggi quel primo stabilimento è, insieme a quello di Campins, il più grande e affollato di operai, anche se non produce gomme per auto ma per camion, trattori, ruspe, eccetera. Insiste su un’area di 240 mila metri quadrati, 124 mila dei quali occupati dai fabbricati dentro cui i pneumatici vengono creati grazie all’opera di circa duemila operai, supportati da 90 amministrativi.
Nonostante l’aria fresca del mattino di un maggio australe, file di operai in canottiera, tutti rigorosamente forniti di scarpe anti-infortunistiche e tappi auricolari, rasentano i muri degli edifici seguendo invisibili sentieri che portano agli ingressi. All’interno le temperature sono decisamente più alte anche se non insopportabili. La grande macchina Banbury impasta gomma, olii e additivi chimici, con le sue ruote dentate compie la masticazione prima e la mescola poi del polimero a una temperatura di 120 gradi. La mescola di gomma che ne esce viene poi applicata ai cilindri della calandra, la macchina che restituirà lunghe strisce di pneumatico grezzo, anzi “crudo”, destinate a essere raccolte in grosse bobine di un metro e passa di diametro.
Operai esperti e prudenti
Segue l’inserimento di una cordicella d’acciaio nel lavorato e quindi la vulcanizzazione, che è una vera e propria cottura del pezzo crudo dentro a uno stampo metallico profilato sul modello di pneumatico che si intende realizzare. La temperatura si alza, oscilla fra i 150 e i 180 gradi, i tempi variano moltissimo a seconda del modello: pneumatici per camion non particolarmente robusti richiedono 50-60 minuti, ma i prodotti per le gigantesche ruote delle ruspe e di altre macchine movimento terra possono necessitare fino a otto ore di lavorazione. Nell’uno e nell’altro caso, quando escono fumanti dalle morse roventi in cui sono rimasti chiusi per il tempo necessario, fanno veramente venire in mente l’officina del dio Vulcano e la mitologia greca. Egregiamente sostituiti da operai esperti e prudenti, attenti alla lavorazione tanto quanto alla sua sicurezza. L’aria sa di salmastro e di resina.
In questo modo ogni giorno dalla grande fabbrica di Santo André escono 310 tonnellate di prodotti, più di 100 mila all’anno. Più o meno la stessa quantità viene prodotta negli stabilimenti di Campins, l’altro grande polo produttivo Pirelli in Brasile, specializzato nei pneumatici per autoveicoli. Se si considera quel che fanno gli altri tre stabilimenti brasiliani del gruppo, si devono contare ben 500 prodotti diversi per tipo e per misura. Che prenderanno la strada di 600 punti di rivendita – monomarca, com’è tradizione in Brasile – in tutto il paese. «Sono 31 anni che lavoro qui e ho visto cambiare tante cose, sempre in meglio», racconta Sergio Filippi, il direttore dello stabilimento. «La tecnologia radiale, le novità della copertura, la sicurezza sul lavoro, la qualità. Quando ho cominciato io, cos’erano l’Iso 14001 e l’Ohsas 18001 non lo sapevamo nemmeno», dice alludendo alle certificazioni di qualità ambientale e di sicurezza sul lavoro.
In un paese in piena motorizzazione come il Brasile, dove la Fiat vende 838 mila veicoli in un anno e Volkswagen poco meno, è normale che un produttore di pneumatici faccia ottimi affari. Pirelli non fornisce dati disaggregati per il Brasile, ma nell’intera America latina, dove conta altri due stabilimenti, uno in Argentina e l’altro in Venezuela, realizza il 34 per cento di tutte le sue vendite, pari alla quota che realizza anche sul mercato europeo.
La legge Rouanet
Ma la popolarità di Pirelli non dipende solo dalla qualità dei prodotti, dal mercato in salute e dalle campagne pubblicitarie. Il Brasile è sempre più sensibile ai temi ambientali e alla responsabilità sociale d’impresa, e l’azienda milanese su questi versanti da tempo dà risposte. Oltre ai vari certificati e indici di sostenibilità sociale e ambientale (in particolare Pirelli è leader mondiale nella sezione Autoparts e Tyre da quattro anni a questa parte nell’Indice di sostenibilità Dow Jones), l’azienda è conosciuta per il suo impegno nella raccolta dei pneumatici a fine uso, uno dei problemi ambientali più sentiti. Pirelli fa parte di Reciclanip, consorzio che ha l’obiettivo di raccogliere e riciclare i pneumatici secondo le rigide norme della legge brasiliana (che stabilisce anno per anno la quantità che le aziende produttrici debbono recuperare), costituito tra i principali produttori locali. Fra il 1998 e il 2012 ha investito nelle operazioni oltre 100 milioni di reais (cioè 38 milioni di euro), che sono serviti a smaltire 1,8 milioni di tonnellate di pneumatici, pari a 364 milioni di gomme per auto e altri veicoli. Si toglie il filo d’acciaio che li rinforza e si incenerisce il resto negli impianti a norma, la polvere è avviata a cementifici e produttori di materiali per la pavimentazione stradale.
In nome della responsabilità sociale d’impresa, Pirelli investe in progetti culturali, sociali e sportivi, sfruttando le agevolazioni fiscali previste dagli ordinamenti statali e federali brasiliani. Se si guarda ai soldi spesi o messi a bilancio negli ultimi tre anni, si notano due cose: prima di tutto il forte trend ascendente, per cui si passa dai 3 milioni e 205 mila reais del 2011 ai 5 milioni e 266 mila previsti per quest’anno; poi si coglie che sono privilegiati i progetti culturali (quasi 3 milioni e mezzo di reais previsti quest’anno), seguiti da quelli sportivi (più di 1 milione) e in coda ci sono quelli sociali (quasi 700 mila). La radiografia dei differenti impegni non significa che Pirelli sia più attenta alla cultura che alla povertà: ad attirare i contributi in una direzione più che nell’altra è la natura delle normative brasiliane, più generose fiscalmente con chi investe in progetti culturali che con chi investe nell’educazione o nella lotta alla povertà e alle marginalità. Il sottinteso ideologico sembra essere che il governo, ovvero la politica, debbono avere il monopolio delle politiche sociali, mentre i privati se vogliono impegnarsi è meglio che si dedichino a cultura e sport. Così per esempio la legge Rouanet, legge federale di incentivo alle attività culturali, dà la possibilità di defiscalizzare fino al 4 per cento delle imposte aziendali destinandole a progetti culturali; invece il Fondo municipale per i diritti dei bambini e degli adolescenti permette sì di destinare risorse detraibili a progetti sociali in collaborazione coi comuni, ma solo fino all’1 per cento delle imposte che le aziende dovrebbero versare.
Premesso questo, la spesa Pirelli in cultura non appare affatto dominata esclusivamente dalle considerazioni fiscali, ma si dimostra altamente qualificata e attenta ai risvolti sociali. Dal 1991 insieme al Museo d’arte di San Paolo (Masp) Pirelli organizza la più importante mostra annuale di fotografia del Brasile, che si è così trasformata in una collezione di oltre 2.500 immagini dei migliori fotografi brasiliani nota sotto il nome “Retratos do Brasil” che mostrano l’evoluzione della società. Pirelli sponsorizza l’associazione Mozarteum, che porta concerti di musica classica anche nei quartieri poveri e nelle favelas, oltre a formare giovani musicisti senza mezzi, e l’Orchestra sinfonica Heliopolis, nata nell’omonima favela della capitale paulista. Promuove rappresentazioni teatrali a prezzi popolari nei quartieri svantaggiati con pièce di autori come Luigi Pirandello e Adoniran Barbosa.
Anche i progetti sportivi sono rivolti in genere a ragazzi e ragazze delle aree marginali. Per esempio il progetto Meninos da Fazenda di Sumaré che consiste in una scuola di calcio per 120 ragazzi comprende un sostegno alimentare e la disponibilità di un assistente sociale, perché quelli sono bisogni reali dei ragazzi e delle loro famiglie. Fra i progetti sociali diretti meritano di essere segnalati il sostegno all’Educandário di suor Felicina nello stato di Bahia, che ospita 1.100 bambini delle scuole materne ed elementari, all’asilo e al doposcuola Dr. Klaide a Vila Curuça, il quartiere povero di Santo André, alla casa di accoglienza di Perus per ragazzi di strada, orfani e adolescenti con problemi di droga gestita dalla Aliança da Misericórdia e al Centro di convivenza Santa Dorotea a Grajaú, periferia sud-ovest di San Paolo.
Quest’ultimo, inaugurato nel 2004, è sorto sull’onda di un movimento popolare, animato principalmente da mamme del quartiere, dopo l’assassinio di un ragazzo di 14 anni sul sagrato della chiesa parrocchiale nel 2000 nel contesto di una lotta fra bande di narcotrafficanti. Il Centro, al quale Pirelli ha donato un pulmino e costruito un campo sportivo coperto, accoglie ed educa 180 bambini e ragazzi fra i 6 e i 14 anni, ai quali grazie a una convenzione col Comune fornisce anche i pasti. Le suore dorotee sono talmente apprezzate nel loro lavoro che i servizi comunali si basano sulle loro indicazioni per assegnare le risorse della Bolsa Família alle famiglie bisognose. Il colosso dei pneumatici finanzierà un nuovo progetto educativo e di socializzazione imperniato sul centro guidato dalla piccola comunità di quattro suore italiane e boliviane, di cui è superiora la lodigiana suor Paola Grignani. Non c’è vera grandezza senza attenzione a ciò che è oggettivamente piccolo, ma fa la differenza nelle cose davvero importanti.