Lasciate ogni speranza o voi che entrate… A scorrere i capitoli della legge finanziaria, riflessi nell’umore dei responsabili dei vari dicasteri che si sono visti tagliare in modo drastico le risorse pubbliche disponibili per lo sviluppo, altro commento se non quello del III Canto dell’Inferno dantesco non potrebbe risultare più adatto. La verità è che, per il comparto delle infrastrutture, delle ferrovie, delle autostrade, degli aeroporti e specialmente dei porti, l’ultima stretta di finanza pubblica suona solo come conferma di un trend consolidato che, da un lato, ha visto restringersi le risorse statali destinate alla costruzione di nuove infrastrutture, dall’altro (e questo è senza ombra di dubbio il segnale più allarmante) ha visto deteriorarsi sensibilmente l’habitat all’interno del quale dovrebbero investire i privati.
Incertezza normativa, lungaggini burocratiche, veti incrociati spesso determinati da una giustizia amministrativa che si è trasformata in autolesionismo, hanno fatto del 2010, anno in cui tutte le economie mondiali hanno focalizzato i loro sforzi nella realizzazione di nuove infrastrutture in grado di generare ricchezza e occupazione, un anno horribilis che ha replicato in versione italiana, i trend negativi del 2009.
E le incertezze sul quadro dei rapporti fra pubblico e privato sono probabilmente destinate ad allungare per mesi a venire ombre sul futuro di grandi infrastrutture, comunque strategiche per il paese, con l’effetto perverso di congelare (come già avviene) ingentissime risorse private pronte ad aprire i cancelli dei cantieri. Ciò accade in particolare nelle due macro regioni del Nordovest e del Nordest, oltre che ovviamente in una Lombardia sempre più baricentrica dal punto di vista produttivo, logistico e distributivo, al punto da figurare fra le priorità confermate sugli assi di sviluppo del traffico merci (e passeggeri) europei.
Si sta quindi definendo il grande paradosso economici di una vasta area industriale e di servizi che non appena gioca in libertà con le regole del mercato si sviluppa (è il caso dell’aeroporto di Malpensa che è decollato lasciandosi alle spalle le ansie del post Slitalia), ma che, nella maggior parte dei casi, rallenta e talora si ferma quando la complessità della macchina burocratica fa inceppare il meccanismo. Proprio nel momento in cui questi problemi stanno venendo a galla in modo prepotente, il mercato prova a sfondare. Lo fa con la progettualità, con le formule di finanziamento (malgrado i bastoni fra le ruote) innovative, lo fa facendo partire comunque le opere che non possono più restare su un binario morto perché a reclamarle sono la domanda e i tempi di un mercato che non è più in grado di pagare il sovrapprezzo dell’inefficienza logistica e che rivendica il rispetto delle regole della sana economia.
Il dibattito, non casualmente, si è focalizzato sulle modalità e sugli strumenti per finanziare le grandi opere con alcuni esempi emblematici di una logica del fare che fatica a liberarsi dei lacci della logica del rinvio, del veto, dell’opposizione sempre e comunque. Gli esempi sono quelli delle infrastrutture lombarde e quindi della progettazione e realizzazione dei nuovi assi autostradali, in particolare Brebemi, Tem e Pedemontana. Ma anche quelli di un porto di Savona, che ha saputo rischiare inventandosi e imponendo una formula di prefinanziamento di un terminal container (già opzionato dal primo gruppo armatoriale del mondo, la Maersk) che passa attraverso l’impegno di un’Iva che verrà. Ma i riflettori (spesso ofuscati da riunioni del Cipe che non hanno prodotto mai la svolta finale e la reale bancabilità delle opere) si sono comunque accesi anche sulle grandi opere ferroviarie, come il Terzo Valico Genova- Milano giunto (pare) all’ultimo step prima dell’apertura dei cantieri o la controversa Tav.
Per non parlare del proseguimento dell’Alta Velocità verso oriente. Il processo di rinnovamento, piaccia o non piaccia, è in atto e riguarda tutte le modalità della catena logistico- infrastrutturale. A questo riguardo non è casuale né la fioritura di progetti (spesso avveniristici) per la realizzazione di nuovi terminal portuali in Adriatico, né l’eccezionale vitalità di un sistema aeroportuale metodicamente dimenticato dalla mano pubblica, ma capace di mettere a profitto capacità commerciali maturate (come accaduto per la Save di Venezia e per altri scali diventati “patria” delle compagnie low cost) sul campo. Sorvolando il nord Italia da occidente a oriente, chiosando Molière, si potrebbe persino dire che… l’Italia è un paese logistico… malgré lui.