Riproponiamo una lettera a firma Annalisa Chirico, Radicali italiani che appare oggi sul Foglio. Sul medesimo tema è intervenuto qualche giorno fa anche il deputato pidiellino Alfonso Papa.
Al direttore – Mi chiedo e le chiedo perché Antonio Simone resta ancora in carcere. Non trovo una risposta. Sono passati oltre tre mesi dal giorno in cui l’ex assessore alla Sanità della regione Lombardia (con la Dc negli anni Novanta) fu spedito a San Vittore nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Maugeri. Qui la diade “innocenza/colpevolezza” non c’entra nulla. Il punto è un altro: il prolungato regime di custodia cautelare in carcere è giustificato oppure no? Adesso che il tanto atteso avviso di garanzia nei confronti di Formigoni è stato platealmente spiccato, non si comprende perché Simone debba restare dietro le sbarre. Il codice di procedura penale mette nero su bianco che il carcere senza condanna è extrema ratio, ad esso si ricorre “quando ogni altra misura risulti inadeguata”. Esistono infatti misure custodiali meno afflittive come gli arresti domiciliari. Nei paesi civili inoltre si usano su larga scala strumenti di monitoraggio a distanza come il braccialetto elettronico. Da noi invece sopravvive l’antico rito ambrosiano. Le manette del carcere preventivo colpiscono quasi il 43 per cento dei detenuti italiani, di questi ben 15 mila attendono un giudizio di primo grado. E se poi si scopriranno innocenti come accadde a Enzo Tortora? Quisquilie. Antonio Simone è un presunto non colpevole (ai sensi della veneranda Costituzione), costretto dietro le sbarre sine die (oggi la carcerazione preventiva in italia può durare fino a sei anni), mandato a processo con le manette ai polsi mentre i pm attendono ansiosi che parli. Se accusi, torni in libertà. Come lo chiama lei un trattamento simile se non “tortura”?
Annalisa Chirico, Radicali italiani