I fondamentalisti islamici potenzialmente pronti a “fare il salto” nel terrorismo sono troppi e trovano coperture troppo facili nella nostra Europa dai confini liquidi. La sensazione – come è emerso chiaramente subito dopo le stragi di Parigi e di nuovo adesso, dopo gli attentati di Bruxelles – è che sia davvero impossibile monitorare tutti i soggetti a rischio per impedire attacchi come quelli di martedì in Belgio. Tuttavia, come suggerisce un articolo di Gian Micalessin pubblicato oggi sul Giornale, forse sarebbe bastata un po’ di attenzione in più da parte dei servizi di sicurezza e di intelligence per comprendere che qualcosa si stava muovendo intorno al mondo di Salah Abdeslam, il quale del resto era nel mirino di mezza Europa da mesi.
ERRORI E FALLE. Micalessin elenca sul Giornale dieci fatali «errori e falle all’interno di un apparato di sicurezza già inadeguato a fronteggiare la minaccia terroristica». Dieci «peccati capitali», scrive il cronista, che hanno consentito al super ricercato Salah «di restare latitante per quattro mesi» e a perfino «di organizzare la struttura responsabile, dopo la sua cattura, degli attentati di Bruxelles». Sono buchi che riguardano in generale il comportamento e le “regole di ingaggio” delle forze dell’ordine nei confronti delle minacce di terrorismo, ma anche singole sviste che appaiono inquietanti alla luce di quello che è successo dopo.
NON DISTURBARE. In quanto alla generale rilassatezza dei controlli antiterrorismo Micalessin riporta per esempio la legge belga che «vieta di disturbare il riposo dei sospetti delinquenti tra le 9 di sera e le 5 di mattina»: è questa norma che solo «due giorni dopo le stragi di Parigi» avrebbe consentito a Salah di fuggire nella notte dal suo appartamento, subito individuato dalle forze dell’ordine. Ancora: dal piccolo Belgio sono partiti ben 400 foreign fighter per la Siria, eppure «prima delle stragi di Parigi le sue autorità si son ben guardate dal bloccare le partenze e dallo scambiare i dati dei sospetti terroristi con gli altri servizi di sicurezza europei». Per non parlare della mancata integrazione tra le «sei polizie» del paese e della loro scarsa preparazione.
AEROPORTO SGUARNITO. Incredibile anche «l’inadeguatezza dei controlli di sicurezza dell’aeroporto di Bruxelles», già segnalata – continua Micalessin – in un rapporto del Consiglio europeo del 29 febbraio scorso e affidata «a personale che trascura di controllare se tra i passeggeri provenienti da zone a rischio terrorismo vi siano dei sospetti inclusi nelle liste dell’Europol». Tutto questo «nonostante il ritrovamento nel covo di Forest di numerosi detonatori che segnalavano la preparazione di nuovi ordigni». Era davvero così imprevedibile che sarebbe stato scelto l’aeroporto come luogo da colpire?
SOFFIATE IGNORATE. In quanto agli errori “puntuali”, Micalessin ricorda il fatto che Ibrahim Bakraoui, uno dei due fratelli kamikaze di Bruxelles, era stato catturato a giugno in Turchia mentre si aggirava nei pressi del confine con la Siria ed era stato estradato in Belgio, dove però è stato rilasciato per mancanza di prove circa i suoi «legami col terrorismo». Il cronista del Giornale cita inoltre una soffiata del «luglio 2014», naturalmente subito «archiviata», che segnalava a Molenbeek la radicalizzazione di Abdeslam e dei fratelli Ibrahim nonché i loro legami con Abdelhamid Abaaoud, mente del massacro di novembre in Francia. Ignorata, secondo il sindaco del quartiere di Schaerbeek, anche una segnalazione allarmata esposta alla polizia da un vicino di casa della cellula jihadista che di lì a qualche giorno “firmerà” l’attentato di Bruxelles.
Foto Ansa/Ap