Ormai è passato un anno e mezzo da quando i giornalisti di un certo livello hanno iniziato a brandire papa Francesco come una clava da dare sulla testa al povero Correttore di bozze, il quale da parte sua, disgraziato cattolico retrogrado com’è, sa bene di non meritare alcuna misericordia e si guarda attentamente dal richiederne (del resto chi è lui per non essere giudicato?). Anzi, a questo punto ci ha fatto un poco il callo alle legnate e ai pistolotti. Ciò nondimeno, ogni volta che un giornalista di un certo livello gli spezza il gobbo con la nuova dottrina della Chiesa postcattolica del futuro, per lui è sempre una gran bella lezione di vita.
Prendete per esempio la rubrica delle lettere a Furio Colombo sul Fatto quotidiano di oggi. È una magistrale testimonianza di amore evangelico, un trionfo di apertura all’altro, un’esplosione di mani tese.
«Caro Furio Colombo – scrive tale Alberto – perché mi sembra di intravedere un rapporto fra economia e teologia, nel senso che certi vescovi e cardinali sono dalla parte dei ricchi, del potere e del condannare gay, divorziati e coppie di fatto, e certi altri, a cominciare da Francesco, sono il contrario?».
Bella domanda, ammette il Correttore di bozze. Perché, caro Furio, ho come l’impressione che gli infami omofobi Cardinali di bozze siano di solito anche, ma guarda un po’, servi del vile danaro? Che dici Furietto, sarà mica un’allucinazione provocata dai giornali che leggo?
Nooo, assolutamente, risponde giustamente Colombo. In effetti là dove sono i veri soldi di solito c’è anche un pienone di vescovi anti-gay. Tanto per fare un paio di esempi, il giornalista cita «Ruini e Bagnasco» che «sono preti e vescovi e cardinali come il Papa, ma sembrano rappresentanti e dignitari di un mondo del tutto diverso». Un mondo notoriamente ricco sfondato dove i divorziati se la vedono davvero brutta. Però andiamoci piano con le parole, precisa Furio: non si può dire che ci sia «un rapporto fra economia e teologia», ma piuttosto «solo una coincidenza». Tuttavia, ri-precisa Furio, «la coincidenza è troppo precisa nel suo ripetersi sempre». Dunque non è affatto una coincidenza, è più un rapporto.
Colombo la mette giù così: «Se c’è una chiave è il rapporto col potere». Dopo di che prova a spiegarsi.
Dunque. Da una parte, secondo Furio, c’è «il Papa delle carceri, che vuole fraterne e umane (lui che dovrebbe predicare l’inferno), che trova immorale la pena dell’ergastolo perché uccide la speranza, dunque tutto (la definisce pena di morte mascherata) e si preoccupa della corruzione, che è il più sociale e materiale e il meno interiore dei peccati, e solo per la corruzione vede, insieme, reato e peccato, perché l’offesa porta danno a tanti altri esseri umani prima ancora che offesa a Dio».
Dall’altra parte invece, continua Colombo, c’è «il teologo conservatore» per il quale «tutto ciò è impossibile», poiché «il teologo conservatore», al pari del suo immondo tirapiedi, il Correttore di bozze, si identifica «con il potere che gli suggerisce di essere fonte di autorità, luogo di giudizio, e di essere naturalmente contiguo con il potere secolare, un rapporto radicato nei secoli, un vicendevole e inevitabile sostegno che frappone l’ostacolo del protocollo, prima ancora che dell’opportunità, all’offerta dell’uguaglianza».
Insomma «il teologo conservatore» non solo è incompatibile con papa Francesco, non solo è nemico dei gay e amico dei ricchi e dei corrotti, ma è anche invariabilmente una persona senza pietà. Sbatterebbe tutti in galera lui. Il Correttore di bozze confida però che il Fatto quotidiano alla lunga saprà inculcargli un po’ di misericordia. Se no c’è sempre l’ergastolo.