Dalla Babilonia laziale all’assedio del Nord. Scelleratezze romane. Campania e Sicilia che promettono sfracelli. Adesso anche la Guardia di Finanza in Piemonte. E con il caso Lombardia sempre aperto come una ferita sanguinante. E… Uffa, non passa giorno che non abbia la sua pena scandalistica. Ormai è chiaro: con l’approssimarsi della scadenza elettorale, sfruttando il malcontento contro la “casta” è partito l’ultimo assalto alla Bastiglia della politica. Con quale obbiettivo finale? Difficile dire se quel 16 per cento di consensi elettorali oggi accreditati dai sondaggisti ai cinque stelle di Grillo siano un anticipo di futuro radioso. Comunque sia, anche per i cattolici è venuto il momento di ripensamenti. Ovvero di fare i conti con il tracollo del partito che per un ventennio aveva rappresentato la “nuova” Dc. Forza Italia, Polo delle Liberta. Pdl. Fino all’attuale crisi. Un bel problema. Cambiare si deve cambiare. Ma come? Tempi ha girato il quesito a due osservatori. L’uno già sottosegretario agli Interni con il ministro Maroni, l’altro intellettuale cattolico di cui si apprezza l’indipendenza di giudizio.
«Una spiegazione unica e semplice per capire come si è arrivati a questo disastro non esiste. Certo è che il degrado non è solo politico ma di tutto il corpo sociale. È un errore credere che il primo problema sia la politica». Parola di Alfredo Mantovano, cattolico, magistrato e onorevole pidiellino con i sopra segnalati trascorsi di governo. «La politica è solo il riflesso di tante altre articolazioni della società. Ci sono tanti settori della pubblica amministrazione, anche quella locale, nei quali c’è un tratto di inefficienza, di sciatteria che fanno da cornice ideale all’emergere della corruttela. Un esempio? Se un cittadino per ottenere un permesso dalla pubblica amministrazione deve aspettare mesi o addirittura anni, può succedere che per accelerare i tempi burocratici faccia uso di metodi più o meno scorretti. Ma questo succede in moltissimi ambiti. E non bastano le sanzioni per risollevarci, serve la prevenzione, il controllo. E purtroppo la legge Bassanini (le leggi sulla semplificazione amministrativa, ndr) ha smantellato tutti i sistemi di controllo locali che un tempo esistevano. Non rimpiango quelle norme, molte non funzionavano, ma andavano corrette non eliminate».
Il professore Pietro De Marco, docente di Sociologia della religione all’Università di Firenze, la interpreta così questa fase finale del declino italiano. «Direi, un po’ amaramente, che una corresponsabilità di questa situazione è della società civile. Nei primi anni Novanta il tracollo della Prima Repubblica fu accompagnato da un forte richiamo alla società civile, perché si impegnasse a risollevare le sorti del paese guidandolo verso una nuova stagione. Entrarono in campo imprenditori, professionisti, common people e gli apparati formativi dei vecchi partiti si dissolsero definitivamente. Oggi constatiamo, purtroppo, che una parte di quella società civile si è dimostrata non all’altezza del compito che si era assunta. La corruttela c’era anche prima, non nascondiamolo. Ma era diversa. Oggi i politici sono legati “particolaristicamente” al proprio tessuto sociale e territoriale, hanno una mentalità e un’ottica locale, familiare, clientelare e questo favorisce indubbiamente la corruzione, senza alcuno scrupolo universalistico. D’altronde sono convinto che una parte delle responsabilità di questa crisi e dell’indebitamento pubblico come sistema sia da attribuire a persone comuni».
Dopo le analisi, resta il tema di come si possa risollevarsi dalle macerie. Mancano poco più di sei mesi allo scadere del mandato (e del se qualcuno lo chiama lui “ci sarò”) di Monti. Il centrodestra è messo come è messo. Il piano B di Mantovano sarebbe il seguente. «Azzerare il Pdl senza buttarlo». E come? «Con un nuovo cartello elettorale che metta insieme forze fresche». Quali? «Penso ai Giannino, Montezemolo…». Il che, oltre all’accordo dei menzionati (per nulla scontato), esigerebbe una certa legge elettorale che ancora non c’è e, soprattutto, l’ok di Silvio. Mica poco, non crede? «È impensabile fare una cosa così senza Berlusconi. Anche perchè lui ha dato tanto al paese e a mio parere tanto ancora può dare. Detto questo gli errori, e grossi, ci sono stati. Bisogna voltar pagina. Non basta un ombrello per ripararci, serve qualcosa di più robusto. Il nostro elettorato è sveglio, sono convinto che su molti temi ci possa essere intesa sia con Giannino sia con Montezemolo».
Più scettico il professor De Marco: «I partiti non si costruiscono dal nulla, la nascita di Forza Italia è stata una sorta di miracolo politico che ha pagato nel tempo la vitalità aggregativa del primo decennio. Io credo che sia necessario partire, ripartire, da quello che c’è. Per me azzerare vuol dire togliere quello che è palesemente deteriore ma conservare la base e i quadri che sono stati meno compromessi da questa situazione».
Partire dall’esistente significa anche riconoscere le espressioni di buona politica. E la Regione Lombardia, benché sfregiata dalle inchieste, certamente lo è. «Non c’è dubbio. Comunque vadano a finire le inchieste, la Lombardia di Formigoni è un’esperienza che non va cancellata. I numeri della spesa sanitaria e la loro resa sono solo un esempio di come sia possibile amministrare in modo serio e virtuoso. Quello che funziona non va dilapidato ma riproposto. Poi si può cadere, ma sbagliare è umano, non si persista nel giudicare l’operato di un politico in base alle vacanze che fa, ma si riconosca con obiettività quello che è stato fatto».
No a un nuovo partito
E i cattolici a cosa devono guardare? Mantovano si schiera con Angelo Bagnasco e prova a declinare la richiesta che il presidente della Cei fa di «tenere saldo il legame con quei valori che fanno parte della nostra storia e ne costituiscono il tessuto profondo». L’esponente pidiellino dice a sua volta “no” a un partito dei cattolici, ma ammette che occorre trovare «un meccanismo di collaborazione più stretto e meno occasionale di incontro, discussione e lavoro sui temi fondamentali». E ricorda la battaglia sulla legge 40. «Allora ci siamo messi insieme pur da provenienze politiche diverse. Ma oggi? La legge 40 è stata smantellata. Quella sul fine vita non va in porto. Si concentrano tutte le attenzioni sulle convivenze e non si produce alcuna politica economica e fiscale nei confronti della famiglia». Per questo Manotvano auspica «un maggiore dialogo e raccordo tra i cattolici. Non bsiogna per forza essere tutti nello stesso partito. Per carità. Non è che si è più cattolici se si sta da una parte o dall’altra. Però, al punto, quando c’è di mezzo, appunto, il tessuto profondo della società, la vita, la famiglia, l’educazione, occorre che i cattolici ritrovino l’unità attorno a valori fondamentali e, perciò, non negoziabili».
Non distante da questa posizione l’intellettuale De Marco. «Con la Seconda Repubblica i cattolici si sono distribuiti in tanti partiti ma indubbiamente il centrodestra ha raccolto l’eredità principale, in termini di elettorato, della Dc. Ora che il Pdl sta cadendo a pezzi il problema è serio. Ma ripeto, sono scettico sul discorso dei nuovi partiti. Quel che serve è un programma che sappia promuovere e non solo difendere, la cultura antropologica della tradizione cattolica, come tema aggregante dei “cattolici comuni”, maggioranza del paese. Serve questo, assieme naturalmente, a linee chiare, e anche divisive, di politica economica. E non credo che l’Udc di Casini, erede dei “cattolici” nel senso della élite politica cattolica Dc del passato, possa avere questa duttilità».
De Marco e Mantovano convergono anche nell’indicazione del problema: la mancanza di luoghi di vera formazione degli amministratori e dei nuovi quadri politici professionali. «Fino alla metà degli anni Ottanta ci furono ed erano di tipo universalistico. Vi erano luoghi che hanno sempre educato al “servizio del bene comune” e non soltanto individuale o di ceto. La “formazione”, fosse essa cattolica, socialista, comunista, repubblicana o liberali, era comunque intesa in questo modo, volta a perseguire il bene collettivo. Fossero state solo “belle parole” avevano un peso. Questo è l’unico aspetto che dà ragione a chi rimpiange le ideologie». Secondo Mantovano, per rendere la politica meno disgustosa occorre anzitutto iniziare un lavoro culturale: «Le forze politiche non hanno più luoghi di aggregazione come un tempo. Oggi ci sono le fondazioni e credo che una cosa prioritaria sia quella di stabilire dei rapporti proficui con esse. Non basta lo sforzo del singolo, bisogna che tutti siano implicati con luoghi concreti di cultura».
Intanto, c’è questo “ci sarò”, offerta di un Monti Bis? «Non si può negarlo: qualcosa di decisivo è stato fatto. E non può essere cancellato. Né abbandonato a metà strada. Se Monti dovesse dare la sua disponibilità a guidare il paese io ne sarei contento. Non possiamo ricominciare da zero un’altra volta. Inoltre, grazie a Monti, abbiamo di nuovo ottenuto credibilità e fiducia in Europa. E questo resta fondamentale. Certo, non tutti i ministri tecnici sono all’altezza del premier. Ma forse vale la pena proseguire, l’esperimento è buono», spiega Mantovano. «Monti ha fatto quello che c’era da fare. Ha riconquistato la fiducia dei vertici dell’Unione Europea, della finanza e dei risparmiatori. Ora ci vuole la riforma del sistema elettorale, ma anche nuove leggi nei campi del lavoro, della famiglia e della spesa pubblica. La classe politica non è ancora pronta per un ritorno in campo, ha bisogno di più tempo per togliersi di dosso quel legame stretto e perverso da Seconda Repubblica, con la società civile. Quindi – conclude il professor De Marco – vedo con sollievo la possibilità di un Monti bis».