I terroristi dello Stato islamico li hanno torturati con scariche elettriche, hanno frustato i loro piedi per ore fino a quando non hanno più potuto camminare, hanno frantumato i loro denti e li hanno soffocati con buste di plastica fino a farli svenire. Poi i circa 70 prigionieri iracheni, detenuti in una prigione di Hawija, nel nord dell’Iraq, sono stati liberati grazie a un raid dell’esercito americano e curdo.
IL SALVATAGGIO. L’operazione di salvataggio è stata portata a termine giovedì scorso, motivata dalla «imminente esecuzione di massa» dei prigionieri. Nel raid, un soldato americano è rimasto ucciso. In un video rilasciato dal governo regionale curdo, che ha accolto gli ostaggi liberati, molti di loro hanno raccontato la prigionia e le torture subite. Parte delle testimonianze sono state tradotte dalla Cnn.
«TRATTAMENTO DISUMANO». «Il mio nome è Mohammed Hassan Abdullah (foto in alto) ed ero un poliziotto. Mi hanno torturato in diversi modi, usando le scariche elettriche, poi mi soffocavano con dei sacchetti di plastica fino a quando perdevo conoscenza e si ricominciava con le sedute di elettroshock. Il capo della sicurezza entrava nella nostra stanza con addosso una cintura esplosiva per chiederci com’era il cibo. Ci torturavano sempre allo stesso modo, ci hanno trattato in modo disumano. Ogni giorno, giustiziavano tra i due e i quattro prigionieri».
«RECITA LA SHAHADA». «Il mio nome è Akram Hussen Mohammed Zahir. Sono stato arrestato nell’area montagnosa di Hamrin. Ci torturavano ogni giorno, ci portavano davanti a un giudice che diceva sempre che erano necessarie nuove indagini. Ci chiedevano allora le stesse cose e poi ci torturavano, basta guardare i miei piedi per capire. Mi hanno anche spaccato i denti e mi hanno fatto firmare un foglio per la mia esecuzione. Mi hanno puntato una pistola alla nuca e mi hanno detto: recita ora la Shahada, la professione di fede islamica, o ti uccidiamo in questo momento».
«NON HO CAMMINATO PER 20 GIORNI». «Il mio nome è Hussen Ali Alhemdani. Sono stato arrestato dall’Isis un anno e due mesi fa. Siccome mio fratello era un membro del consiglio cittadino, e io un impiegato del comune, mi hanno interrogato e torturato. La sera, dalle otto alle 2 e mezza del mattino mi frustavano i piedi. Non sono riuscito a camminare per 20 giorni. Mi hanno prelevato da casa e hanno rubato tutti i miei averi. I miei cinque fratelli per fortuna sono riusciti a scappare».
«UCCIDI GLI APOSTATI». «Sono Ahmed Abd Al Jburi, sposato con cinque figli. Vi dirò una cosa che non voglio nascondere: i miei figli piangevano perché avevano fame e non sapevo come mantenerli sotto l’Isis. Per un anno e sei mesi non ho avuto né soldi né lavoro. Ho detto a quelli dell’Isis che avevamo fame e loro mi hanno risposto che dovevo giurare fedeltà al califfo. Se lo farai, mi hanno detto, e ucciderai gli apostati riceverai 60 mila dinari oltre al gasolio, alla benzina e ad altre cose. Io ho risposto: se uccido i miei fratelli musulmani, forse che loro non hanno una famiglia? I loro figli, come i miei, non aspettano il ritorno dei loro padri? Le loro mogli non li aspettano? Se io mi macchio di questo crimine, che cosa dirò al Creatore quando me ne chiederà conto?»
«CEDERETE LE VOSTRE MOGLI ALL’ISIS?». E ancora: «Io dovevo essere giustiziato. Ma quell’uomo, Massoud Barzani (il presidente del Kurdistan, ndr), ci ha salvati. Ora i miei fratelli ed io siamo tutti al servizio del Kurdistan. Sono pronto a combattere, portateci dovunque e vedrete. Sono pronto a sacrificare la mia vita per il Kurdistan. Fino a quando queste ingiustizie verranno tollerate? Accetterete questo scempio? Chi di voi ha due mogli, accetterà che una venga presa da uno straniero? Perché l’ingiustizia ha raggiunto questo livello: chi ha due mogli, ne deve dare una all’Isis per i loro combattenti stranieri. Dov’è sta scritto questo nell’islam? E chi ha quattro mogli, ne deve dare via tre. E se non ti sta bene, ti uccidono».