Lo scorso aprile la prefettura di Milano ha lanciato l’allarme: nel giro di un anno, il numero di rom è triplicato. E il piano annunciato dal Comune? L’assessore alle politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, ha recentemente spiegato la sua intenzione di effettuare una sorta di “censimento”, con tanto di questionario, per capire quante persone ancora vivono nei campi comunali, chi di loro lavora, chi va a scuola, eccetera. Ma i progetti a lungo termine, di inclusione sociale, che fine hanno fatto? E la consulta dei Rom e dei Sinti destinata al dialogo con l’amministrazione? Il vento del cambiamento, a un anno dall’insediamento del sindaco, sembra andare a rilento. Almeno stando alle parole di Maurizio Pagani, vicepresidente di Opera Nomadi (Onlus che tutela i diritti dei Rom) che parla di approccio «molto deludente» da parte dell’amministrazione di centrosinistra.
Due anni fa il vicesindaco era Riccardo De Corato, oggi è Maria Grazia Guida, ex direttrice della casa della Carità della Caritas ambrosiana di don Virgilio Colmegna. Come è cambiata la situazione?
Prima assistevamo a una rivendicazione feroce dello strumento degli sgomberi, che era molto enfatizzato. Ora quella villania verbale è stata sostituita da grandi proclami buonisti. Nella sostanza, non è cambiato assolutamente nulla: gli interventi di natura sociale, dalla scuola al lavoro, ormai sono ridotti ai minimi termini. Ora gli sgomberi avvengono comunque, anche se si vuole far credere che la linea sia più morbida. Non è vero. Semplicemente si sgombera in silenzio, senza proteste delle associazioni e senza la fotogallery sui grandi quotidiani. Non se ne parla più, non fa notizia. Evidentemente Giuliano Pisapia, che ha vinto proponendo ai cittadini un modello di partecipazione diretta alla vita pubblica, ritiene che questo schema non vada applicato ai cittadini di serie B come gli zingari. Evidentemente contano più gli interessi economici del dialogo.
Vi aspettavate un’impostazione diversa?
Io penso che si stia perdendo di vista la necessità di lavorare con queste comunità. Così facendo, favorire l’integrazione sociale rimane una chimera. Allontanare i rom non serve a niente, ed è dovere del primo cittadino individuare politiche lungimiranti. In tutta Europa gli zingari sono considerati un problematico “corpo estraneo” dalle istituzioni prima ancora che dagli abitanti: a dispetto di molte realtà stanziali sono definiti nomadi, la cui presenza va rieducata se non scoraggiata. In Italia, decine di interrogazioni parlamentari, centinaia di interventi da parte delle amministrazioni o di singoli esponenti politici segnalano la persistenza di tutti i pregiudizi più scontati. Sono sporchi e portano malattie, sono furbi e vagabondi, rubano le auto e svaligiano gli appartamenti, per non parlare dello spauracchio che li dipinge come rapitori di bambini. Quindi bisogna tenerli lontani, separarli, isolarli, magari in campi-sosta “invisibili”, lungo le ferrovie, le tangenziali, i canali e le periferie più abbandonate. Non si scelgono luoghi vicini alla ”gente perbene”, non si progetta un futuro insieme. È un problema di metodo, che riguarda sia le amministrazioni di centrodestra sia quelle di sinistra. La strategia dell’attuale assessore non introduce nessun cambiamento significativo. Si disfano dei rom come peso pubblico.
Avete avuto contatti diretti con l’assessore Majorino?
C’è molta retorica ma scarsa concretezza. A ottobre si parlava di un nuovo piano, da elaborare con noi. Non c’è stato nulla di tutto ciò. Evidentemente l’unico interlocutore è rimasto il “solito” don Colmegna. Anche perché la gestione dei campi comunali è rimastica identica: ci sono gli stessi operatori che erano stati scelti prima, nessuna nuova gara di appalto, per dare la possibilitò di mettere in gioco soggetti diversi, in una competizione pubblica trasparente. Inoltre i contratti degli operatori si rinnovano di due mesi in due mesi: ovvio che non si possano fare progetti di lungo respiro. E anche la consulta rom, pensata per per raccogliere le voci delle comunità rom e sinti, non è altro che fumo negli occhi: spiace dirlo, ma si tratta di un interlocutore di comodo. Un parafulmine. Si finge di dialogare con i rom ma in realtà si tratta di pure formalità.
E il questionario, potrebbe essere un primo passo?
Invece che perdere tempo con un questionario, peraltro di difficile compilazione, occorrerebbe investire sui mediatori culturali. E sulla loro formazione. Che senso ha misurare quanti bambini vanno a scuola, se poi non si fa nulla per farceli andare? Il segmento su cui investire, nei campi, è quello che sta in mezzo, tra la delinquenza e la ricchezza. Si tratta di famiglie che, se seguite, possono salvarsi. Se ignorate, finiscono per arrangiarsi come possono. E dall’illegalità va fatta un’urgente presa di distanza, o non si va da nessuna parte. Basta con gli obiettivi generici: ci attendiamo una strategia precisa da parte del Comune.