So che citarsi non è bello, non fa chic, ma la tentazione è troppo forte (e più in là vi spiegherò perché).
Vi ripropongo un brano tratto dalla mia rubrica “Vostro onore mi oppongo”, pubblicata su Tempi di fine marzo 2016: «Il nuovo reato di omicidio stradale è appena entrato in vigore, già siamo già ai primi arresti, e c’è chi sostiene che l’aumento delle pene servirà come deterrenza. Sarà. In realtà questo non è mai accaduto, a nessuna latitudine: forse che aumentando le pene contro la corruzione è diminuita la corruzione? Nei Paesi dove è prevista la pena di morte, questo ha mai ridotto i reati per i quali è prevista? Risposta facile: mai. È davvero difficile, in questo Paese, schierarsi contro le norme varate sulle picche del populismo giudiziario. È difficile anche passare per fiancheggiatori di ubriaconi e drogati al volante. Ma in questo caso è facile prevedere che grazie alla nuova legge, potenzialmente, aumenteranno soprattutto i comportamenti scorretti: la paura delle pene, soprattutto là dove non ci siano testimoni dell’incidente, avranno soltanto l’effetto di spingere molti rei alla fuga, per non essere arrestati in flagranza di reato».
Fine della citazione (e scusate ancora). Bene, vogliamo valutare i risultati dell’omicidio stradale? Nei primi cinque mesi di applicazione della legge, dal 25 marzo al 31 luglio, la Polizia stradale ha calcolato 19.893 incidenti automobilistici, di cui 255 mortali, e in 123 casi è stato contestato l’omicidio stradale. Nello stesso identico periodo del 2015 il computo era stato peggiore: 20.356 incidenti, 280 dei quali mortali.
Il principale obiettivo della nuova norma, però, era contrastare la pirateria stradale. E quel risultato è totalmente mancato. Anzi, i casi di incidente stradale con successiva fuga dell’investitore sono aumentati di un sesto. Secondo l’Asaps, l’Associazione amici sostenitori della Polizia stradale che da otto anni monitora il fenomeno, dopo l’entrata in vigore della nuova legge le omissioni di soccorso negli incidenti con feriti o morti sono state 556 in cinque mesi, contro i 484 dello stesso periodo del 2015: quindi 72 casi in più, con un incremento del 14,9 per cento.
Insomma, malgrado la durezza del reato di omicidio stradale (pene dai 5 ai 12 anni di reclusione per chi uccide dopo essersi messo alla guida in stato di ebbrezza o dopo aver assunto droghe) i pirati della strada non si sono minimamente fermati. Anzi, hanno continuato a correre e lo fanno sempre di più. Come cinque mesi fa prevedeva Tempi.
Beniamo Migliucci, presidente dell’Unione delle camere penali italiane, sosteneva allora che la legge era stata «emanata sotto la spinta dell’emotività e soltanto per ottenere consenso: non costituisce un deterrente, né favorisce comportamenti virtuosi, che dovrebbero essere premiati con un’attenuante». Oggi il presidente dei penalisti è ancora più duro: «Proprio la durezza delle pene e il rischio di subire un arresto obbligatorio, in alcuni casi, potrebbe portare alla fuga e a non prestare soccorso». E già, perché la nuova norma prevede sempre la facoltà dell’arresto del conducente, qualunque sia il suo comportamento e il suo stato: anche se è sobrio, anche se non si è mai drogato in vita sua.
Insomma, io continuo a pensare che l’omicidio stradale sia un clamoroso errore. Spero soltanto di non passare per un fiancheggiatore di ubriaconi e drogati al volante.
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