Da due anni a questa parte l’Osservatorio di Pavia sta svolgendo un monitoraggio dell’informazione relativa alle agrobiotecnologie. Siamo andati ad intervistare il professor Francesco Sala, Ordinario di Botanica e Biotecnologie presso l’Università degli Studi di Milano, che fa parte del comitato scientifico di questa ricerca.
Professor Sala, cosa emerge da questo studio?
La maggior parte dei media cerca di fare titoloni, c’è chi cita Nature o Science, ma poi trae le conclusioni che vuole. è raro trovare informazione seria e corretta.
“Principio di precauzione”. Cos’è e come viene applicato?
Il “principio di precauzione” si basa sulla ragionevolezza, si valutano i rischi e benefici che derivano da una attività che si prende in considerazione. Non esiste alcuna attività umana assolutamente esente da rischi. La penicillina ha salvato, e salva tuttora, milioni di vite da gravi infezioni, e la consideriamo per questo farmaco essenziale anche se ogni anno uccide decine di persone (solo in Italia) per shock anafilattico. Ma accettiamo anche la motorizzazione che provoca migliaia di lutti ogni anno, inquina l’aria delle città e ne danneggia il patrimonio architettonico: nella percezione comune i vantaggi dell’uso dell’auto supera abbondantemente i suoi rischi! Spesso mi chiedono “è sicuro che le piante transgeniche sono assolutamente esenti da rischi?”. La sicurezza assoluta non si può garantire. Il cibo tradizionale ha i suoi rischi e così il biologico (anzi, probabilmente sono superiori). E per il biotech? Quando lo possiamo accettare? Valutiamo sempre caso per caso, ognuno fa storia a sè; inserire un gene nel melo o un altro nell’insalata non è la stessa cosa. Quindi non si può dire sì agli Ogm, no agli Ogm; ma valutare rischi e benefici rispetto alla situazione attuale. Facciamo un esempio: per coltivare il mais in modo tradizionale spruzzo insetticidi per contrastare il fungo della piralide; se voglio fare coltura biologica non spruzzo insetticidi ma, così facendo, troverò le aflatossine che mi provocano un tumore. Se metto il gene Bt (Bacillus thuringiensis) avrò la resistenza alla piralide. Confrontiamo i risultati: il mais Gm produce di più e questo è un vantaggio, mi dà meno funghi, altro vantaggio, potrebbe danneggiare l’ambiente, questo può essere uno svantaggio. Tiriamo le somme, se il rapporto rischi benefici migliora, lo accettiamo. Nel caso di ragionevoli dubbi, sono d’accordo a fermare tutto e a controllare meglio. Il “principio di precauzione” viene oggi inteso come “principio di blocco”. Questo è il primo caso nella storia dell’agricoltura in cui una pianta selezionata geneticamente deve essere controllata per gli effetti che può dare sull’ambiente e alla salute umana, prima di essere messa sul mercato. Viceversa, se faccio un incrocio o un mutante, lo registro a Roma, costa 1500 euro e lo posso vendere, nessuno mi chiede di verificare se ci sono tossine, se produce allergie o se il polline andando in giro può creare dei problemi. (…)
Un problema che viene sollevato in questo periodo è quello della normativa sui brevetti.
L’Italia sta recependo la direttiva europea sulle biotecnologie, per aprire la commercializzazione, ma sta inserendo delle varianti. Il primo emendamento dice che in Italia è proibito brevettare il Dna delle varietà tipiche italiane; ma come si fa a capire qual è il Dna del pomodoro? Sono d’accordo che il brevetto non debba diventare un monopolio, però il fatto di abolirli va bene solo in una società in cui è tutto controllato dallo Stato. Il brevetto è stato sempre considerato dalle economie liberali come il volano del progresso, il privato è interessato a fare una ricerca se con il brevetto può tutelare il proprio lavoro. Si parla tanto dei brevetti delle piante transgeniche, perché bisogna comprarle solo da chi le ha brevettate; per le piante non transgeniche la registrazione c’è già ed è, di fatto, oggi un brevetto. Ad esempio, il riso Carnaroli è registrato così certifico che la varietà nuova è mia. Se registro un pomodoro mutante resistente al virus esso non può essere riprodotto se non con i semi che produco io. I problemi che vengono oggi sollevati dalle piante Ogm, sono già problemi generali dell’agricoltura. è un errore contrassegnare l’“agricoltura biologica” o quella “tradizionale” come le uniche di qualità, le uniche che offrano un prodotto sano e “naturale”, contrapposto al “biotecnologico”. Non vi è fondamento scientifico in tale affermazione.
Una domanda ingenua. Perché la scienza non riesce a comunicare con i cittadini nella misura in cui dovrebbe?
Io faccio parte dell’Associazione di genetica agraria che conta 400 iscritti; al potere politico conviene dire che la scienza è divisa perché ce ne sono 3 che in pubblico sono contro. Questi sono contro perché devono mantenere degli interessi privati. Nel caso del transgenico si vuol far passare l’idea che i rischi siano maggiori dei benefici. è un modo subdolo per dire che non li vogliamo. Gli scienziati che non stanno al gioco della demonizzazione di solito sono considerati pazzi o al soldo delle multinazionali.
(continua)
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi