Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Odio i processi sommari, quelli a mezzo stampa (in qualsiasi forma si manifesti), le rivelazioni fuori tempo massimo, le testimonianze uscite dai cassetti dell’oblio (toh), le precisazioni mai precisate per anni e poi sbattute lì con nonchalance. Non discuto le vittime, chi è stato danneggiato personalmente e non ha avuto il coraggio di ribellarsi, perché una vittima è una vittima e sono convinto che dal prossimo si possa esigere tutto, ma non il coraggio. Soprattutto non possono pretenderlo quelli che non si sono mai trovati nella medesima situazione.
Odio quelli che fanno i partigiani senza avere i nazisti al culo. Non mi piacciono quelli che adesso affermano: avevamo sempre saputo tutto. Però non avevano detto una cippa al momento giusto, erano rimasti muti e plaudenti.
Odio quelli che prima erano genuflessi al passaggio, oppure a bordo, del carro del vincitore, a cantare lodi con cimbali e ora urlano contumelie, tricoteuses non richieste con il loro lavoro a maglia e le loro cuffiette ridicole ad aspettare che la testa rotoli per lanciare i loro sghignazzi osceni. Odio quelli che prendono le distanze, che fanno finta di non aver mai frequentato, di non aver mai omaggiato, di non aver mai condiviso.
Non mi piacciono i mostri, ma soprattutto non sopporto quelli che li sbattono in prima pagina, goduti. Cosa? No, non sto parlando di Harvey Weinstein, ma di Leo Bonucci. Povero.
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