Ma guarda un po’: improvvisamente sono tutti contro le occupazioni a scuola! In prima linea i sindacati, che tutti ricordiamo i migliori alleati per decenni alla contestazione. Poi presidi, genitori e insegnanti per la legalità, anche per le dimissioni di Faraone. Intendiamoci: che il sottosegretario non solo abbia omesso di ricordare l’illegalità di quella “liturgia” ormai pluridecennal-autunnale che sono le occupazioni, ed abbia enfatizzato il proprio amarcord di giovane contestatore, è fuori di dubbio. Ma le sue osservazioni contenevano “anche” parole che rimandano a seri problemi, su cui tutti hanno sorvolato. La scuola non è “solo” ragazzi seduti e la cattedra di fronte. Quante sono le lezioni che ricordiamo come “l’esperienza più bella dell’adolescenza”? Quante volte accade che le classi appaiano ai ragazzi “calde ed umane” ? Quanti sono quelli che restano “dopo il suono della campanella”? Quante attività a scuola sono “ispirate dai ragazzi”? Quando nelle lezioni si “supera la rassegnazione e l’apatia”?
Abbiamo invece visto i genitori, gli insegnanti e i presidi di quelli che occupano andare a invocare il ministero. Che strano! Di chi sono figli quei ragazzi delle occupazioni? Di chi sono studenti? A chi tocca – innanzitutto – difendere la propria scuola, convincere a restare a scuola? O meglio: ma di chi è la scuola occupata? Tanto di cappello invece ai quei presidi e docenti che si sono sbattuti con gli studenti, hanno tentato di discutere con loro, hanno passato giornate intere a scuola (qualcuno la notte!) per ascoltare, capire; e magari sono riusciti a trovare attività costruttive verso le quali accompagnare l’insoddisfazione dei loro ragazzi.
Abbiamo invece visto una “brutta compagnia”: raccolte di firme per dimissioni, cioè una strumentalizzazione politica come quella sempre fatta nelle manifestazioni studentesche rispetto ai grandi problemi della scuola. Qualche sindacalista ha perfino scoperto che “qualche volta occorre dire no ai giovani” dopo non aver mai detto per decenni nessun no alle più varie richieste sindacali dei loro iscritti. Ma della noia e del disinteresse giovanile a scuola, del desiderio di essere protagonisti di una cultura verso la quale spesso si sentono estranei, del bisogno di adulti impegnati, attivi, appassionati, con proposte interessanti e coinvolgenti: di questo chi ha parlato ?
Per ventidue anni preside non mi sono mai sentito “innanzitutto” rappresentante dell’istituzione, pur essendolo e praticandolo. Il cuore della professione a scuola sono soprattutto i ragazzi, la loro ricerca di senso di qualcosa che appassioni, ricerca che la maggior parte delle volte non trova strade e, come i fiumi pieni, si esprime in modo sbagliato. Ricerca alla quale questa “pazza” scuola italiana risponde spesso ricordando che “non è nel programma”! Faticando così a dare risposte credibili.
Ad alzare il muro della legalità personalmente non ci sto, perché è spesso la scuola (assieme a molta politica e sindacalismo) a provocare, in un certo senso, quel vuoto umano che le occupazioni evidenziano. Così come non ho firmato per le dimissioni di nessuno, salvo magari interrogarmi sulla mia propria capacità di rispondere a quanto i ragazzi si attendevano da me.
Il vero dramma è di noi adulti (come lo descrive bene il Rapporto Censis!), che da decenni in casa e a scuola non solo non abbiamo saputo dire “no” quando i ragazzi sbagliavano (l’ha descritto bene Polito), ma soprattutto abbiamo smesso di desiderare, di rischiare, di investire, di impegnarci!
Da preside ho visto pochissimi tentativi di occupazione, alla fine neppure iniziati dopo un lungo dialogo, dopo tentativi di trovare assieme proposte migliori del fuggire o dell’abbandonare; lavori culturali a scuola dove si tentava di farvi entrare la vita. Ma quante volte, poi, nel decidere di questi lavori, mi sono sentito dire, specie nei licei, che quello “non era nei programmi”.
Personalmente non conosco Faraone e, se debbo essere sincero (mi scuserà), dai due articoli mi è sembrato un po’ … impreparato al grande e grave mondo della scuola. E’ un problema suo.
Ma l’impresa educativa di chi lavora nella scuola, le proprie ragioni, la dedizione che richiede, lo stesso governo quotidiano dei suoi processi, non dipende mai dalla legittimazione politica del ministro, del sottosegretario o del sindacalista di turno.
Sono decenni che purtroppo abbiamo una “povera” politica scolastica! E non credo di essere “disfattista” scrivendo questo.
L’impresa educativa non neppure fondata né incentrata sulla legalità, troppo ingigantita in questi anni, strappata dalle proprie vere radici: non c’è rispetto della legalità se non c’è ricerca e interesse al proprio bene, passione e legame al luogo del proprio lavoro, come luogo di bene comune. Soprattutto dove non ci sono adulti appassionati così. Al massimo c’è formalismo: proprio quel clima che collabora ed ha collaborato alla lontananza che la maggior parte dei ragazzi vive rispetto alla propria scuola.
Nella scuola non mancano presidi, insegnanti, genitori che, proprio in forza dell’esercizio della loro passione educativa hanno anche “sconfinato” sulle regole. Ci sono stati fior di grandi educatori e maestri anche in questo. Da qui e da loro dobbiamo ri-partire.
Roberto Pellegatta, preside (anche se da due mesi in pensione !)