“Ubi maior minor cessat”. È questa ci sembra di capire, la logica di quanti considerano controproducente un intervento a Timor Est e rifiutano l’imposizione di sanzioni economiche contro Giakarta. Il benessere di duecento milioni di indonesiani (la quarta nazione più popolosa del mondo) sostengono costoro è più importante della vita di qualche migliaio di cattolici di Timor Est. Per comprendere i limiti e le contraddizioni di simili ragionamenti non è tuttavia necessario appellarsi all’etica o alla morale. Basta fare un salto indietro di qualche mese. Lo scorso marzo, seguendo la stessa logica, non si sarebbe dovuto neppure ipotizzare la possibilità di un attacco alla Serbia. Questa nazione con i suoi dieci milioni di abitanti, il suo ruolo storico e la sua posizione nel cuore dei Balcani era ed è sicuramente più importante del Kosovo e della sua minoranza di poco più di un milione e ottocentomila albanesi. Il Kosovo era, dalla fine della seconda guerra mondiale, parte integrante della nazione serba. Da allora nessuna istituzione internazionale aveva mai messo in dubbio la sovranità di Belgrado sui quei territori. Da allora nessun refendum o qualsiasi forma di consultazione elettorale internazionalmente riconosciuta aveva mai sancito la volontà dei kosovari albanesi di affrancarsi dal dominio della madre patria. L’intervento della Nato non venne, infine, ratificato da alcuna risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Esso venne deciso e portato avanti come semplice espressione della volontà dell’Alleanza Atlantica. In questo modo la Nato calpestò deliberatamente i limiti giuridici del proprio statuto che prevedono soltanto la possibilità di intervento a fianco o in difesa di un paese membro. Il tutto con un’unica motivazione: la difesa dei diritti umani dei kosovari. Da questo punto di vista però i diritti umani degli abitanti di Timor Est hanno una valenza politica molto più forte. Giakarta, a differenza di Belgrado, non può vantare alcun diritto storico di sovranità su Timor Est. L’annessione di quei territori non è mai stata riconosciuta dalle Nazioni Unite. Varie risoluzioni delle Nazioni Unite hanno invece chiesto il ritiro delle truppe Indonesiane. Tutto ciò però sembra oggi non aver nessun valore. Il benessere di duecento milioni di indonesiani, con buona pace di Milosevic e dei serbi, giustificano deportazioni e stermini simili se non peggiori a quelli del Kosovo. Cinque mesi dopo l’attacco a Belgrado i diritti umani non sono più di moda. Al loro posto regnano due nuovi ideali: il “reddito pro capite” e il “prodotto interno lordo”.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi