La Madunina saluta il nuovo arcivescovo card. Angelo Scola insieme all’affetto di 15 mila fedeli che lo hanno atteso fuori dalla Cattedrale, e degli 8 mila che sono riusciti a entrare in Duomo. Sul sagrato, erano presenti ad accogliere il cardinale il suo predecessore Dionigi Tettamanzi e il vicario generale della Diocesi monsignor Carlo Redaelli. Per quanto riguarda le autorità civili il nuovo arcivescovo era atteso dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, insieme al presidente della Provincia di Milano Guido Podestà e al sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
I due cardinali, dopo un lungo e commosso abbraccio, sono entrati insieme nel Duomo tra gli applausi della folla per cominciare la celebrazione liturgica.
Il card. Tettamanzi, durante il suo discorso introduttivo, ha definito l’ex patriarca di Venezia come «Colui che viene nel nome del signore». Ha poi ricordato il giorno del suo ingresso in Diocesi nel settembre del 2002, ed in particolare le parole del card. Carlo Maria Martini sul peso del Pastorale (il bastone di san Carlo Borromeo), menzionato in senso metaforico per sottolineare il peso della responsabilità nella guida della Diocesi. Nello nello stesso tempo, il Card. Tettamanzi ha affermato: «Non è tanto il vescovo a portare il pastorale, quanto il pastorale stesso a portare il vescovo. Dico il pastorale come segno di una ricchezza di fede e di un dinamismo di grazia che si sprigionano dalla preghiera e dalla santità di tanti fedeli passati e presenti della Chiesa ambrosiana».
Dopo la consegna del pastorale e dell’anello appartenuti a san Carlo Borromeo, ha avuto inizio la Santa Messa della memoria di Sant’Anàtalo, festeggiato il 24 settembre e primo vescovo della Diocesi di Milano. Dopo le consuete tre letture, il nuovo arcivescovo ha tenuto la sua prima omelia dove ha preso forma in modo autorevole il suo pensiero. Per farlo si è affidato a una lettera scritta nel 1934 dal futuro card. Montini, successivamente eletto al soglio Pontificio come Paolo VI. Scriveva il giovane Montini: «Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della cultura contemporanea». Commenta Scola: «Era ben chiara una convinzione: un cristianesimo che non investa tutte le forme di vita quotidiana degli uomini, cioè che non diventi cultura, non è più in grado di comunicarsi». Prosegue il neo arcivescovo «da qui il processo che avrebbe portato inesorabilmente alla separazione tra la fede e la vita».
Nei quattro punti dell’omelia, il card. Scola ha citato Pavese con il suo «mestiere del vivere», ha richiamato alla missione, all’importanza della comunionalità nella Chiesa e nel ricordo dell’appuntamento con il Santo Padre Benedetto XVI il prossimo giugno per l’Incontro mondiale delle Famiglie, ha messo in rilievo il recupero di quella dimensione di esperienza comune, elementare e autentica che descrive la vita di ogni uomo. Nell’ultimo punto, ha citato la Lettera agli Ebrei: «Obbedite ai vostri capi, state loro sottomessi perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi». Questo brano, riportato anche dal predecessore Carlo Maria Martini nei suoi auguri al nuovo arcivescovo attraverso le colonne del Corriere della Sera, è stato utilizzato da Scola come una preghiera, una richiesta ai propri fedeli: «Ho bisogno di voi, di tutti voi, per poter svolgere nella gioia e non nel lamento questo gravoso compito» e apostrofando il lamento quotidiano con l’aggettivo «terribile».
A conclusione della S. Messa l’arcivescovo ha ringraziato quanti hanno contribuito alla sua formazione: dalla sua infanzia, e dall’adolescenza, passando dalla sua ordinazione presbiterale fino agli incarichi episcopali di Grosseto, a Roma come Rettore dell’Università Lateranense e per finire al Patriarcato di Venezia. Ma il ringraziamento più marcato l’ha rivolto, oltre al Santo Padre, ai milanesi («Milano, non perdere di vista Dio») e in particolar modo ai suoi preti «di cui ho imparato fin da bambino il realistico zelo». La Messa finisce e per il nuovo cardinale comincia una nuovo cammino, una nuova responsabilità nel popolo che da duemila anni testimonia quell’Uomo che «veniva nel nome del Signore».