Lunedì 8 agosto, a Manhattan, la Corte di appello del secondo distretto degli Stati Uniti ha confermato la sentenza emessa nel 2014 dal giudice di New York Lewis Kaplan che aveva ricostruito come il risarcimento megagalattico (19 miliardi di dollari, poi ridotti a 9,5) ottenuto tre anni prima in Ecuador nei confronti del colosso petrolifero americano Chevron da un gruppo di cittadini del paese sudamericano, capitanati dall’avvocato statunitense Steven Donziger e sostenuti da una moltitudine di organizzazioni ambientaliste, fosse stato in realtà frutto di una frode colossale, realizzata attraverso la corruzione di giudici e testimoni, manipolazioni di dati e una serie infinita di altre macchinazioni «che normalmente si vedono solo a Hollywood» (così il giudice Kaplan). Il Wall Street Journal la ribattezzò «la truffa giudiziaria del secolo». Tempi fu uno dei pochi giornali italiani, se non l’unico, a occuparsi del caso con un lungo servizio.
La sentenza del 2014 appena confermata in appello proibiva a Donziger e ai suoi clienti di far valere la sentenza ecuadoriana negli Stati Uniti (Chevron non ha più asset “aggredibili” in Ecuador da almeno vent’anni), ma ovviamente le persone che avevavo portato avanti per decenni questa battaglia legale, giocandosi vite e carriere nella speranza di incassare un bottino stellare, nel frattempo non hanno mollato l’osso. In questi anni la class action è proseguita, in America e non solo, con sviluppi e implicazioni ben riassunti dal commento di Kevin Glass che ripubblichiamo qui sotto in una nostra traduzione, per gentile concessione di The Federalist. Il titolo della versione originale in inglese è “I socialisti usano gli ambientalisti americani per ricattare le imprese Usa”, e l’articolo è scritto con tutto il trasporto che ci si può aspettare in un caso del genere da un giornale conservatore americano, tuttavia ci sembra sviscerare efficacemente alcune questioni fondamentali della vicenda.
Per completezza, ricordiamo solo ai nostri lettori qual è la posizione che l’azienda californiana ha mantenuto in tutti questi anni. Chevron non ha mai negato che l’area dell’Ecuador in cui vivono i ricorrenti sia stata inquinata dalle estrazioni petrolifere con gravi danni per l’ambiente e rischi per la salute degli abitanti: Chevron rifiuta solo di accettare che la colpa di tale inquinamento e di conseguenza i risarcimenti pretesi dagli «afectados» siano addebitati interamente alla “perfida multinazionale”, la quale anzi la sua fetta di bonifiche l’ha finanziata eccome, come ha riconosciuto anche un arbitrato internazionale all’Aja nel 2009. Il resto, secondo gli accordi pattuiti all’epoca delle trivellazioni, toccherebbe a Petroecuador, la compagnia energetica di Stato ecuadoriana. Il governo di Quito, però, sotto la guida del socialista chavista Rafael Correa, anziché adoperarsi per migliorare le condizioni di vita degli abitanti delle aree inquinate, ha preferito sposare la campagna degli ambientalisti contro l’impresa americana.
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Per vedere il cuore corrotto e disperato dei veri credenti del movimento della sinistra moderna, si può guardare a un caso di scuola: un gruppo di attivisti, ambientalisti, avvocati e fondazioni di sinistra che perseguita un’impresa americana, la Chevron.
Steven Donziger, un avvocato formato ad Harvard che aveva alle spalle un po’ di pratica in studi privati, decise di affondare i denti in una class action contro Chevron (in precedenza Texaco, che Chevron acquisì nel 2000) a nome di un gruppo di persone in Ecuador. L’attuale governo di estrema sinistra, guidato da Rafael Correa, sostenne la causa, nonostante l’accordo raggiunto dallo stesso governo con la compagnia. Nel 2011 Donziger conseguì quella che lui chiamò una vittoria definitiva, allorché un tribunale ecuadoriano sentenziò a suo favore un risarcimento multimiliardario.
Da quel momento tutto ha iniziato ad andare a rotoli per gli ambientalisti. La decisione del tribunale ecuadoriano apparve losca fin da subito. Si scoprì che era l’esito di una enorme truffa, con molti passaggi della sentenza scritti parola per parola dal team di Donziger. Il giudice che aveva presieduto la causa confessò di aver preso grosse tangenti durante il processo.
L’attuale regime di Correa è un governo “democratico-socialista” che, in quanto membro dell’alleanza “bolivariana” sudamericana di Hugo Chávez, ha perseguito politiche di sinistra aggressive. Da quando è stato conquistato dai socialisti in stile Venezuela, il governo è passato a sostenere la causa fraudolenta di Donziger, abbandonando ogni intenzione di onorare l’accordo sulle bonifiche firmato dal governo stesso negli anni Novanta.
Comunque gli ecuadoriani non sono riusciti a fare applicare la sentenza, dal momento che né Texaco né Chevron sono più attive in Ecuador da vent’anni. Così Donziger e gli ambientalisti l’hanno trasformato in un caso internazionale, tentando di ottenere l’applicazione della sentenza in Brasile, Canada e in altri paesi, ma invano. Il loro tentativo di mettere in piedi un caso internazionale gli si è ritorto contro nel 2014, quando un giudice americano ha scoperto che il peso delle prove gravava fortemente sul conto di Donziger e del sistema della giustizia ecuadoriano, e ha decretato che era stata messa in piedi una gigantesca truffa.
In seguito molti degli alleati di Donziger, da banchieri d’elite a ricchi ambientalisti, hanno abbandonato quella che ormai appariva loro come una nave che affonda. Burford Capital, un fondo che finanzia cause legali in cambio di una fetta del risultato, ha lasciato il processo nel 2012 quando è diventata chiara la direzione che stava prendendo. Patton Boggs, prestigioso studio legale di Washington DC, ha lasciato il processo nel 2014 e ha patteggiato con Chevron per il ruolo avuto nella truffa. Un alleato chiave di Donziger come l’avvocato civilista Joseph Kohn, testimoniando sulla vicenda dopo aver mollato a sua volta, ha detto: «Mr. Donziger mi ha mentito».
«Mi ha fatto stare male», ha detto Jeffrey Shinder, un legale che ha collaborato per anni con il fronte degli ambientalisti fino a che non ha scoperto personalmente la truffa che stava alle radici della causa. «Non volevo più farne parte».
Questa settimana, la Corte di appello del secondo distretto ha confermato la sentenza del 2014 contro Donziger e gli ambientalisti, ritenendo che «il verdetto ecuadoriano era stato ottenuto, tra le altre cose, attraverso la corruzione, la coercizione e la frode da parte degli imputati».
Nonostante tutto ciò, molti veri credenti ambientalisti hanno continuato ad appoggiare la truffa. Amazon Watch, un organismo no profit di sinistra che afferma di preoccuparsi delle foreste pluviali del Sudamerica, è tra i sostenitori su cui Donziger può contare maggiormente. Amazon Watch è finanziata da gente come il miliardario attivista Tom Steyer, l’attore milionario Leonardo DiCaprio e la Fondazione di sinistra MacArthur.
Il Rainforest Action Network è un altro organismo di sinistra che ha continuato a sostenere la causa dei truffatori. Oltre a essere finanziato da donatori anonimi, è sopportato da gruppi come il Rockefeller Brothers Fund, la Rudolf Steiner Foundation e il Wallace Global Fund – tutti gruppi di ricconi che appoggiano campagne di sinistra in giro per il mondo.
Anche la sinistra hollywoodiana è stata coinvolta. Una società di pubbliche relazioni ha portato a nome del governo ecuadoriano celebrità come Mia Farrow e Danny Glover a fare il tour delle aree dichiarate danneggiate a livello ambientale, ignorando il fatto che è stata proprio la compagnia energetica di Stato dell’Ecuador a portare avanti per anni le operazioni di estrazione in quelle zone dopo che gli americani le avevano abbandonate. Mano a mano che la causa legale viene giù, Donziger e i suoi alleati si affidano sempre più a queste misere trovate di pubbliche relazioni per aggrapparsi al poco che resta loro.
La persecuzione di questa impresa americana in attesa del gran giorno di paga non è finita, malgrado la soverchiante evidenza che sia frutto dell’imbroglio. Il governo di sinistra dell’Ecuador ha collaborato con i truffatori per anni ed è improbabile che si arrenda. Non potendo utilizzare gli ecuadoriani per estorcere la propria ricompensa, dal momento che Chevron non ha asset in Ecuador, Donziger ha reso la sua causa globale, con processi pendenti nei tribunali del Canada e del Brasile, oltre a quello americano. È chiaro che questa volta nemmeno lo smascheramento della truffa fermerà la crociata verde.
Il fatto che tanti attivisti abbiano deciso di resistere proprio in questo caso rappresenta uno sviluppo inquietante. Se continueranno ad avanzare – se alla fine l’avranno vinta davvero – la cosa potrebbe incoraggiare gli attivisti a spingersi anche oltre. Imparerebbero che con l’inganno alla fine si vince, e che finché gli ambientalisti reclameranno un qualche tipo di interesse nei confronti delle imprese americane, avranno una chance di vincere, a prescindere dal merito della loro crociata. Imparerebbero che la truffa non è una cosa da evitare, ma un’arma da brandire a proprio vantaggio.
Il movimento della sinistra moderna ha scommesso forte su questa causa e alcuni dei suoi alleati hanno abbandonato la nave che affonda. Si può però capire chi ha comunque intenzione di sfruttare la truffa a fini politici, basta guardare a chi è rimasto in campo: a Donziger, Amazon Watch, Rainforest Action Network, MacArthur Foundation e altri grandi gruppi di sinistra non interessa il giusto processo. Gli interessa solo vincere.
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