Quattrocento attiviste islamiche impegnate nella difesa dei diritti della donna si sono date appuntamento dal 3 al 5 novembre scorsi a Barcellona per affrontare il problema del “maschilismo” nell’interpretazione della sharia. Secondo uno degli organizzatori del convegno, molte delle attiviste «hanno fatto una rilettura dei testi del Corano» e sostengono che «l’islam non deve giustificare le pratiche culturali che sminuiscono il ruolo delle donne, dettate da uomini che monopolizzano l’interpretazione dei testi sacri». Particolare rilievo hanno rivestito temi quali la poligamia, l’aborto, il divorzio, i maltrattamenti, la violenza e il ruolo sociale delle donne. In molti paesi islamici la donna continua a essere oggetto di pesanti discriminazioni imposte proprio a partire da versetti coranici o dagli hadith, i detti di Maometto. Sul piano legale, possono essere ripudiate dai mariti, la loro testimonianza in tribunale vale la metà e ricevono un’eredità dimezzata rispetto ai fratelli maschi. In alcuni paesi, le discriminazioni riguardano anche la morte: la dieh – il prezzo del sangue che un assassino può pagare alla famiglia della vittima per evitare la pena capitale – è dimezzata se la persona uccisa è donna. Concetti, questi, che faticano a scomparire anche tra i musulmani che vivono in Europa. Proprio in Spagna, un imam egiziano aveva pubblicato qualche anno fa un libro che spiega come picchiare la moglie senza lasciare lividi e segni visibili sul corpo. Condannato a un anno e tre mesi di prigione per incitamento alla violenza, l’imam è stato rimesso in libertà condizionata dall’Audiencia nacional di Barcellona che gli ha però ordinato di seguire un corso sui diritti stabiliti dalla Costituzione spagnola e dalla Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi