Il disamore per principio verso i maestri ha qualcosa di omicida, come quello per i padri. Chi è mio maestro? Lo è chi mi ha fatto capire la ragione per non uccidere, oppure il concetto di soddisfazione, e altro ancora, non chi parte dal fregio del titolo di maestro, che a volte è uno sfregio e sfregia. Chi è mio padre? È quello che ieri mi ha parlato in modo tale che la giornata di oggi mi va bene. Se mio padre carnale ha fatto così è mio padre: se non lo ha fatto, vero che ciononostante non lo disconosco, ma solo per la ragione implicita al quarto comandamento (“onora il padre…”), il quale, per una ragione che sfugge al paternalismo, è critico verso i padri, non severo verso i figli. Io ho, come fortuna, più maestri (dico “ho”, non “ho avuto”: del maestro non c’è “superamento” neppure quando lo correggo e dico ciò che lui non ha detto, non è un “orizzonte”): Agostino, Freud, Kelsen, Lacan. Marx mi è tale in un punto… capitale. E molti sanno che ho come maestro don Giussani. Qualcuno potrebbe chiedermi: ma quale è il luogo geometrico tra essi? Rispondo che è un luogo sì, geometrico no. Freud mi è maestro nella frase con cui io lo riassumo: “Essere uomini è essere figli”. Un miscredente ed ebreo che dice razionalmente la frase principale del cristianesimo.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi