Mio caro Malacoda, un buon diavolo convince l’uomo della sua inesistenza, ma qui si esagera. È uscito un libro Quel che resta dell’anima, di Edoardo Boncinelli, scienziato. Dalla recensione sul Corriere della sera se ne può dedurre che va a nostro vantaggio, con una controindicazione, la nostra assoluta inutilità. Il Boncinelli vuole fare pulizia semantica dell’ambiguità alla parola “anima”, perché, dice, «è noto che l’uomo non ama conoscere la verità, soprattutto se lo riguarda da vicino». A parte la mia personale esperienza di anime dannate alle quali non sono riuscito mai a strappare del tutto la curiosità del vero, rimasta in loro anche solo come dubbio, peso o rimorso, ma che uomini conosce Boncinelli? Ha mai incontrato un ragazzo abbandonato che vuole sapere chi siano i suoi genitori? O il parente di una persona uccisa che vuole dare un nome all’assassino senza volto? Ha un figlio, una donna, un amico che, stupiti per un suo gesto, gli hanno una volta chiesto: ma tu chi sei? Ma soprattutto, lo scienziato Boncinelli, perché si danna l’anima (ops) per dimostrare che «quello che oggi sappiamo ha reso irrimediabilmente superflua la nozione di anima e ha segnato definitivamente la fine del dualismo tra mente e corpo»? Che cosa cerca? Forse una verità che lo riguarda da vicino?
L’annunciata fine del dualismo pare solo l’eliminazione volontaristica di uno dei due termini, l’elusione dell’enigma uomo e non la sua soluzione. Lo dico perché il dubbio sembra insinuarsi anche tra le certezze del Boncinelli – che non sono così originali e così sue, già Francis Crick diceva: «Non sei altro che un mucchio di neuroni». Ma ecco il problema: «Se in un mondo fisico i nostri immateriali stati mentali sono causati da quelli cerebrali, e se è il nostro cervello a decidere, che cosa ne è del libero arbitrio?». La risposta dello scienziato sembra quella di uno chef, rovescia la frittata: «Se il mio io si estende a tutto il mio corpo, allora non c’è dubbio che a decidere sono sempre io, ovviamente in assenza di coercizioni esterne. Paradossalmente, se invece l’io è inteso come un’istanza immateriale di natura autoreferenziale e distinta dal corpo stesso, l’anima appunto, allora l’esistenza del libero arbitrio e messa seriamente in dubbio dalle indagini sperimentali». Non per fare l’avvocato degli angeli ma… Chi ha detto che l’anima è autoreferenziale? I suoi sostenitori ne deducono l’esistenza dalla relazionalità, dall’essere l’uomo rapporto con l’infinito, documentato da nostalgia persistente di fronte a ogni spiegazione naturalistica. Secondo: che cos’è una decisione se non la possibilità immateriale di essere liberi da ogni condizionamento materiale, anche quello del mio cervello? Terzo: se io sono solo un mucchio di materia (neuroni) in cosa mi distinguo, in quanto corpo, dal resto della materia? Quarto: se io decido con il mio corpo, se mi manca un braccio sono meno libero? E se invece decido solo con una parte del mio corpo (certa gente ragiona con i piedi) posso dire che il diritto islamico che prevede il taglio della mano per il furto è la corretta applicazione del Boncinelli pensiero? Se è così, quasi quasi gli do ragione.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche