Come era facilmente prevedibile, oggi Repubblica, con il resto della stampa manettara al seguito, prosegue l’operazione propiziatoria del voto di sfiducia al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sulla quale la Camera sarà chiamata a esprimersi le settimana prossima (21 novembre). A dettare la linea al Pd per l’occasione dovrebbe essere secondo il quotidiano un «tabulato che scotta» pescato chissà come tra gli atti raccolti dalla procura di Torino nell’ambito dell’indagine sul presunti falsi in bilancio di Fonsai. Quel tabulato, infatti, smaschererebbe «le bugie della Cancellieri» sul caso Ligresti e sul tanto “scandaloso” interessamento del guardasigilli alla situazione carceraria di Giulia Maria, la seconda figlia del capofamiglia Salvatore.
Tenendo presente che il ministro non è indagato e che questo rovente pezzo di carta secondo i magistrati non contiene «nulla di penalmente rilevante», vale la pena di analizzare, con un po’ di pazienza, la requisitoria di Repubblica, per capire a quale logica rischia di sottomettersi il Pd.
«Le bugie della Cancellieri», in sostanza, si riducono al fatto che, come risulta dal «tabulato che scotta», ella avrebbe intrattenuto con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, una conversazione telefonica in più rispetto a quelle di cui aveva parlato nell’interrogatorio del 22 agosto davanti ai pm. E ne sarebbero saltate fuori altre effettuate dal cellulare del marito Sebastiano Peluso.
Scrivono Ottavia Giustetti e Paolo Griseri:
«Tra il 17 luglio e la prima settimana di agosto, nella fase decisiva per decidere sulla permanenza in carcere di Giulia Ligresti, Sebastiano Peluso, il marito del ministro Cancellieri, chiama per ben sei volte lo zio di Giulia, Antonino».
E precisano:
«Solo nei prossimi giorni, dall’analisi dei dati, si capirà se e in quante occasioni alle telefonate tra Sebastiano Peluso e Antonino Ligresti è seguita immediatamente una chiamata tra il marito del ministro e gli uffici della moglie».
Ma poi si sentono ugualmente in diritto di concludere:
«Quel che è chiaro è che la tesi della telefonata di solidarietà umana verso una famiglia di vecchi amici caduta in disgrazia, non regge più». E perché non regge più? Ma è ovvio: perché «la solidarietà si dà una volta, non nove in un mese, due alla settimana».
È dunque stabilito che se un ministro della Repubblica italiana o, nella fattispecie, il suo consorte parlano al telefono più volte con uno o più conoscenti in difficoltà sulla materia di competenza del ministro stesso, essi non lo fanno per solidarietà bensì per tramare qualche cosa di losco.
Ma non è ancora niente rispetto a quel che segue. Perché Repubblica, con il solo ausilio di un magico tabulato – che, è bene ricordarlo, sarà anche «scottante» ma sicuramente non rivela nulla del contenuto delle conversazioni che vi sono elencate, indicandone solo i “metadati” (numeri di telefono, orari, durate) –, afferma di avere individuato anche la soluzione al «mistero che aleggia sulla scarcerazione di Giulia Maria»:
«Dalla fine di luglio la figlia di don Salvatore si trova in carcere a Vercelli. In suo favore si muovono direttamente le assistenti sociali della casa circondariale il 13 agosto. Via fax medici e psicologi comunicano che la donna sta male e non regge psicologicamente l’adattamento al carcere. Il documento arrivato in Procura a Torino a cavallo di Ferragosto desta lo stupore dei pubblici ministeri e in qualche modo fa sì che si rendano necessari tutti i successivi controlli che hanno svelato l’intreccio Cancellieri-Ligresti. Quella comunicazione, ritenuta tanto urgente da richiedere una procedura così inconsueta, ha obbligato i magistrati a disporre una perizia medico legale sulle condizioni di salute della donna e, dopo una serie di passaggi tecnici, a concedere finalmente alla Ligresti, il 28 agosto, di tornare a casa».
Ed ecco il punto su cui, secondo Repubblica, il Pd dovrebbe riflettere:
«Che quella modalità fosse inconsueta non c’è dubbio (per quanti detenuti che rifiutano il cibo partono relazioni mediche alla Procura che indaga senza che vi sia stata alcuna sollecitazione?)».
Ora, data la nota condizione delle galere italiane e soprattutto la vergogna che è la carcerazione preventiva in questo paese, un “democrat” dovrebbe gioire se almeno una volta, almeno una, le cose vanno come dovrebbero andare. Ovvero se il detenuto che rischia di morire alla fine non crepa in prigione grazie a qualcuno, magari anche lo stesso ministro, che si dà da fare per salvargli la vita. Se non altro perché sia processato come merita, eventualmente. (Per altro, nel caso della Cancellieri, è stata sempre la procura di Torino a riconoscere che non c’è stata da parte sua nessun intervento indebito per la scarcerazione di Giulia Ligresti).
Nella civiltà che sogna Repubblica, al contrario, tutto ciò è scandaloso. Nella civiltà repubblicona è inaccettabile che un ministro della Giustizia si occupi del caso di un detenuto che rischia la pelle. Che muoia in galera come capita agli altri. Altrimenti, dove andremo a finire di questo passo? È come se un ministro dell’Economia si occupasse di un’azienda in difficoltà mentre altre falliscono: un vero scandalo.
Ma ecco il capolavoro. Giustetti e Griseri giustamente, a questo punto, precisano:
«Dalla tabella dei tempi fornita dalle sole telefonate del ministro è impossibile stabilire un nesso causale tra la sua personale attivazione e l’effettivo intervento decisivo, quello del carcere».
Quindi nessuno sarebbe autorizzato a concludere che Cancellieri l’abbia fatta sporca in qualche modo. Giusto? Sbagliato. Attenzione adesso:
«Se da Vercelli, infatti, parte la comunicazione alla procura il 13 agosto, Anna Maria Cancellieri dichiara di aver parlato con Antonino Ligresti preoccupato solamente il 19 agosto, quando cioè i giochi erano ormai fatti. Ora dai tabulati si scopre invece che il marito del ministro, Sebastiano Peluso, e Antonino Ligresti si sono parlati al telefono assiduamente proprio nei giorni a cavallo tra luglio e agosto. O marito Peluso e moglie Cancellieri hanno evitato di parlarsi per tutto quel periodo o è assai improbabile che il ministro abbia appreso dell’emergenza Giulia solamente il 19 di agosto».
Capito? A prescindere da ciò che poi abbia (o meglio non abbia) effettivamente fatto, il ministro non poteva non sapere. Anzi, potrebbe aver saputo. Non merita forse la sfiducia per questo?
Ed ecco la conclusione dell’articolo di Repubblica:
«”Non giudicatemi da quella telefonata ma dai fatti che ne sono seguiti”, aveva detto il ministro il 5 novembre scorso al Parlamento. Ed è proprio questo il nodo. Dopo la telefonata del 17 luglio alla compagna di Salvatore Ligresti, certamente la chiamata più compromettente (“non è giusto, non è giusto”), sono seguite sei chiamate del marito del ministro ad Antonino Ligresti e tre telefonate dello stesso ministro sempre al fratello del patriarca. Poi l’interrogatorio impreciso ai pm e infine, la comunicazione autoassolutoria alle Camere. Questi sono i fatti. E non sono pochi».
Ora. Si tenga presente che i Ligresti non sono ancora stati processati, sebbene Repubblica insista a definirli «un gruppo di presunti faccendieri accusati di reati gravissimi» (se è per questo, anche Carlo De Benedetti nell’indagine sui morti per l’amianto della Olivetti è accusato di reati gravissimi). È dunque così «compromettente» sostenere che «non è giusto» trattare una famiglia in attesa di giudizio come solo la giustizia italiana sa fare?
Si ricordi, infine, che in quelle telefonate non c’è «nulla di penalmente rilevante» secondo i pm, eppure, invece di finire nel cestino come suggerirebbe anche la Costituzione più bella del mondo, le stesse conversazioni vengono imputate a un ministro come se fossero colpe. Il 21 novembre i deputati democratici dovrebbero chiedersi che cosa è più dannoso per la democrazia. Il ministro Cancellieri o la fiera degli spioni?