Il commento più diffuso al conflitto tra il procuratore aggiunto di Milano Robledo e il procuratore capo Bruti Liberati è che è un fatto senza precedenti. Forse è senza precedenti che un contrasto così forte sia stato consegnato ai media, che l’esposto di Robledo sia finito in redazione prima che al Csm, e che tutto ciò esca da uno degli uffici giudiziari più importanti d’Italia. Ma tutti gli ultimi trent’anni sono stati attraversati da lacerazioni feroci interne a procure e tribunali.
È il caso di rassegnarsi? No, a condizione di tenere i piedi per terra. Realismo impone non già di fare il tifo per l’uno o l’altro contendente, bensì di identificare i nodi che, a ogni latitudine del paese, provocano liti paralizzanti, i cui danni ricadono su tutti gli italiani. Obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità disciplinare dei magistrati, meccanismo di elezione del Csm, nomine dei capi degli uffici: fino a quando le scelte di governo e parlamento su tali voci continueranno a latitare, in ossequio al mantenimento dello status quo imposto dal correntismo della magistratura, sarà impossibile garantire una applicazione della legge penale percepita come equa e imparziale, intervenire sulla toga che non fa il suo dovere (quello disciplinare è l’unico livello sanzionatorio potenzialmente efficace; la responsabilità civile è una presa in giro), contare su una magistratura che badi più all’applicazione della legge che agli orientamenti del Csm.
Renzi dice che farà la riforma del lavoro a prescindere da Cgil e Confindustria? Non si fermi: affronti le questioni-chiave della giustizia a prescindere dai diktat di frange dell’associazionismo in toga. Venir meno ai propositi enunciati sul fronte del lavoro assicura disoccupazione elevata. Continuare a vivacchiare sul fronte giudiziario assicura giustizia denegata.