È morto Angelo Ferro, 79 anni, imprenditore di Padova e fondatore della Fondazione Opera Immacolata Concezione onlus, organizzazione non-profit con oltre 1.500 dipendenti di 29 diverse nazionalità. Qui di seguito un ritratto che fu pubblicato su Tempi nel giugno 2011.
Ripete bene chi ripete spesso «le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Vale, come suggerimmo, per la discutibile grandeur delle rivolte arabe. E vale, a maggior ragione, per Nella Maria Berto, don Antonio Varotto e Angelo Ferro. Tre piloni di un’opera che a dispetto del nome, inconcepibile in epoca postcristiana, si è forgiata sul tamburo del tempo, creando un’impresa al servizio del popolo degli anziani, autosufficienti e no, sani e lucignoli fumiganti, difficilmente eguagliabile per intelligenza sociale, genialità economica e metafora architettonica degna di un Norman Foster.
Primo pilone. Nella Maria, assistente sociale cattolica che, a metà degli anni Cinquanta, si chiede come fare per evitare a otto anziane domestiche, rimaste senza alloggio e risultate in esubero nelle dimore palladiane del Veneto, lo smaltimento in un’anticamera del cimitero. Secondo pilone. Don Antonio, uomo, prima ancora che prete (e con quali attributi visto che, devoto innanzitutto alla libertà umana, falsificava i documenti e produceva in canonica i libretti di lavoro per gli antifascisti ai quali il fascismo negava il diritto al lavoro), che per non accompagnare devotamente all’ospizio le otto sue sorelle compaesane si fece compagno dell’idea dell’amica Nella Maria e con lei realizzò la prima residenza di via Gustavo Modena a Padova. «Con stanze a uno e due letti, tutte con bagno e servizi, grande cucina in cui divertirsi a fare i manicaretti, sale da pranzo e ritrovi dislocati in ogni piano». Così dice il terzo pilone, Angelo Ferro, imprenditore alla testa di un’azienda di impiantistica alimentare (la Pavan srl), che quota il 30 per cento del mercato mondiale nel settore, e che a metà degli anni Sessanta, su richiesta della fondatrice, si unì all’impresa.
Ferro è oggi presidente di una Fondazione Opera Immacolata Concezione, in cui anche i numeri hanno lo spessore dei sensi: 1.410 dipendenti (di cui l’87 per cento a diretto contatto con l’anziano) per 2.200 vecchietti ospitati in case e strutture di cura e accoglienza, dove ciascun residente (che usufruisce di 110 metri quadrati pro capite di giardini e spazi aperti, 90 di ambienti coperti e si nutre giornalmente con un menù a scelta composto di 8 primi, 10 secondi e 6 contorni) svolge sistematicamente attività di formazione e aggiornamento, incontra quando vuole amici e familiari, socializza e fa comunità con gli altri residenti, e qualunque cosa gli passi per la testa trova risposta declinata in azione, proposta, esperienza comunitaria, nel personale dell’Immacolata.
Per dire: quando arrivi e posteggi l’auto al “Civitas Vitae”, devi per forza immaginarti di aver sbagliato indirizzo e di essere finito in un quartiere della Padova molto upper class, molto verde, molto discretamente abitato, passeggiato, frequentato da mamme e bambini dell’asilo incardinato tra linde villette e moderne palazzine. La prima delle quali, dove ci riceverà il presidente Ferro, si apre con una discreta hall da hotel a cinque stelle, con annessi museo del giocattolo, bar, guardia medica, centro benessere, reparto domotica… E cos’è, un casa di anziani o il nostro agognato buen retiro? «Longevità e non autosufficienza non sono un versante del consumo, sono una modalità dell’offerta. Noi non accompagniamo la gente anziana alla tomba. Noi sosteniamo l’accumulo antropologico, di esperienza, di cose viste e vissute da una persona e con esso produciamo vita nuova. Questo non è un ospizio, questa è una fabbrica di relazioni. La longevità è ricchezza di significato, di tempo e di libertà da ogni ruolo. Sono i beni attualmente più scarsi nella nostra società angosciata dal vuoto, dallo specialismo, dalla frammentazione dei ruoli. Io qui non ho bisogno degli animatori esperti e palestrati. Magari ho bisogno di un non vedente che, essendo un lottatore e avendo accumulato conoscenza per vivere dentro questo mondo feroce, mi inventa, chessò, come è capitato, una modalità per cui anche l’ottantenne non vedente possa “vedere” i colori e ritrovare una socialità che magari non aveva neanche a vent’anni». Angelo Ferro e i suoi hanno trovato l’uovo di Colombo («vivere è relazionarsi, e nella relazione si capisce che anche il limite, la malattia, perfino il coma persistente possono diventare cultura, pensiero, senso che dai e che ricevi») e rovesciato il paradigma che spinge le famiglie a consegnare alle case di riposo («soprattutto a quelle con costi proibitivi») l’anziano non autosufficiente o il vecchio tout court.
«Qui si produce coesione»
Per inerzia, mancanza di conoscenza e di alternative, la vecchiaia e i suoi costi vengono dati in gestione alle imprese specializzate nel settore. Siano esse private o statali la filosofia è quasi sempre la stessa, cambia solo il menù, la qualità dell’assistenza, la scena, i colori della cameretta. Il senso di solitudine, estraneità, abbandono, invece rimangono e troneggiano quasi ovunque. All’Immacolata, invece, la compagnia alla buona morte si trasforma in compagnia alla vita che, come si dice, “fa rete” e si comunica da una generazione all’altra. «Qui non c’è divisione tra parenti, amici, bambini, anziani. Qui si produce coesione sociale. Che è la seconda gamba di ogni sistema economico competitivo. Di nuovo, esattamente ciò che manca alla nostra società». Una nuova etica della cura e della cittadinanza? «Non ci muoviamo nel piano dell’etica della cura e neanche perché siamo cittadini cristiani. Ci muoviamo perché siamo cristiani, punto».
Per capire quanto pesa economicamente e socialmente la longevità, la vecchiaia, riflettiamo. L’Italia non è solo un paese per i profeti della green economy alla Carlo De Benedetti e Carlin Petrin. Non è solo “vento di cambiamento” che cammina al passo di Ilda la rossa, Giuliano l’arancione e il carro multicolore di Lady Gaga. Non produce solo il modello del business stile slow food o delle “piantagioni” di pannelli solari e pale eoliche che avanzano dal Tavoliere all’oltremare gallurese. Non mena solo il cliente per l’aia irrobustendo i margini di profitto della grande distribuzione col marchio “Bio” e mettendo fuori legge il “cibo Frankenstein” (tranne poi non avvertire la clientela che c’è più rischio in un sacco di riso biologico che in una patata ogm). No, di tutto questo bailamme che si industria a cavare da ogni ben di Dio una plusvalenza, il più redditizio dei listini in Borsa sta diventando proprio quello della “terza età”. Come ribadisce Ferro (non dimentichiamo: presidente di una Fondazione che è soprattutto una onlus, cioè un ente no profit che per definizione ha per oggetto «l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale», non può distribuire utili ed è tenuto a osservare un regime di massima trasparenza), «per noi i longevi, siano autosufficienti o no, in salute o in “stato di minima coscienza” (basta con il termine “vegetativo”), sono i “patriarchi di massa”. Per un qualsiasi operatore economico sono semplicemente un affare».
In effetti l’Istat sostiene che nel 2016, fra cinque anni, gli ultrasessantenni saranno oltre 17 milioni. Gli ultrasettantenni sopra i 9. Gli ultraottantenni più di 4. E gli ultranovantenni 700 mila. Fate voi la somma. Mettiamo pure il caso che le attuali 730 mila badanti regolarizzate raddoppino entro il 2016 e che ognuna si “sdoppi” riuscendo in futuro a seguire non uno ma due nonnetti. Chi e come si prenderà cura del restante esercito di anziani? E con quali risorse, considerata la voragine del nostro debito e la contesa che impazza sulla già corta coperta della spesa sociale? Un posto letto in “ricovero” per anziani costa mediamente 130 mila euro: quale Stato e quali enti locali potranno sostenere nei prossimi anni un welfare per una terza età? Si tenga presente che la stessa Lombardia – che come è noto è la regione più avanzata in Italia sul piano sanitario e assistenziale – a fronte di 1,3 milioni di residenti ultrasettantenni (dei quali almeno 386 mila non autosufficienti) può offrire poco più di 55 mila posti letto.
Un modello da sostenere
Ecco perché “il business del nonno” è destinato a crescere in progressione geometrica, sicuro di non subire crisi e flessioni almeno quanto quello delle pompe funebri. A meno che… «A meno che Stato, Regioni ed enti locali capiscano e sostengano l’idea di un’opera come la nostra». Per il momento l’Opera Immacolata è certamente compresa e valorizzata in Veneto. Regione dove la Fondazione è sorta, si è radicata e in cui ha realizzato già ben dieci strutture. Ma lo stesso
, nel suo recente viaggio a Venezia, ne ha segnalato garbatamente (senza però menzionarne il nome) il convincente esempio di fraternità cristiana al servizio di tutta la società. «Le idee e le realizzazioni nell’approccio alla longevità, preziosa risorsa per le relazioni umane, sono una bella e innovativa testimonianza della carità evangelica proiettata in dimensione sociale», ha detto papa Ratzinger. E, laicamente parlando, anche una bella alternativa al nonnetto ricoverato all’ospizio, quotato in Borsa e gestito come il companatico di un panino azionario.