Con tutta la nostra buona volontà, venerdì scorso, ci siamo messi comodi davanti alla tivù, sperando di smentire le prime impressioni di delusione alla partenza della nuova serie di Zelig. Niente da fare: tutte le nostre perplessità sono state confermate. Il “piano inclinato” dell’ovvietà e dello scontato decide ormai della scaletta di questo programma, che è stato per anni un fresco e atteso appuntamento con la comicità del cabaret, in felice trasferta teatrale.
Ammettiamolo, demolendo, così, il luogo comune e la critica “a prescindere”: Zelig non fa più ridere, e se ne stanno accorgendo anche prestigiosi commentatori televisivi come Aldo Grasso sul Corriere e Di Pollina su Repubblica.
I sintomi di questa involuzione balzano subito all’occhio: l’assenza di un valido ricambio con gli storici protagonisti, la pesantezza sempre più evidente e non più leggera e ironica delle battute sul sesso, con ammiccamenti spericolati inadatti al pubblico di bambini che seguono la prima ora di trasmissione, un ritmo sempre più stanco, che non tracima più nella risata liberatoria.
Per non parlare della (per adesso) infelice scelta di Paola Cortellesi come spalla di Bisio: l’ottima show-girl è ancora un oggetto estraneo al contesto popolare e popolano di Zelig e un paio di numeri musicali (dovuti, comunque, al genio parodistico di Rocco Tanica) non giustificano lo stipendio a serata confessato dalla stessa Cortellesi. Aggiungiamo anche che l’imitazione del sindaco di Milano Letizia Moratti è decisamente macchinosa e un po’ provinciale: quanti saranno gli spettatori che avranno riso da Lodi in giù?
Certo è che se, anche un format così collaudato perde le sue qualità, squilla sempre più forte il campanello d’allarme sulla crisi dell’intrattenimento televisivo: l’elegante lezione creativa degli Arbore e dei Vianello, per citare due nomi storici e anche se in misura diversa, innovativi, della tivù italiana, rimane attuale.