Lo scenario aperto dalle elezioni europee merita una riflessione molto attenta, sull’Europa e sul paese. Il successo dei partiti antieuropeisti in Francia e Gran Bretagna e la loro sconfitta in Italia – dove il successo del Pd ha fermato l’offensiva grillina e liste recentissime ma europeiste come Ncd e Lista Tsipras hanno superato il 4 per cento – assegna al nostro paese un ruolo importante nella gestione del semestre di presidenza europea.
Su di noi convergono le speranze di quanti vogliono che l’Europa innesti una marcia propulsiva e solidale che la faccia andare oltre la ricetta del rigore. In Italia, invece, dobbiamo chiederci se gli schemi di gioco sono ancora attuali in un campionato nuovo. L’area moderata e liberale è alla ricerca di una rappresentanza, che nel nostro paese ancora manca; il partito di Renzi supera il 40 per cento stando al governo con Ncd e Monti; la Lega e Grillo parlano una lingua simile a quella di Marine Le Pen.
Ha ancora senso parlare di centrodestra e centrosinistra in questo contesto? Il successo di candidature giovani e identitarie come la mia dice che gli elettori vogliono un significativo cambio generazionale e una nuova classe politica, più vicina alla realtà di persone, imprese e territori, e più attaccata (anche nei comportamenti) ai valori che contano.
La mia non è stata una vittoria personale, ma di un popolo pronto a “riprendersi l’Europa” non solo attraverso chi siede in parlamento ma anche con il proprio impegno quotidiano per famiglia, lavoro, solidarietà ed educazione.