Ieri il Parlamento tedesco ha approvato a stragrande maggioranza una risoluzione per sancire che il massacro degli armeni per mano dei turchi ottomani nel 1915 è stato un genocidio. Ankara si è infuriata, ha gridato vuote minacce e ha ritirato il suo ambasciatore da Berlino (tornerà tra qualche mese, come sempre).
AMMISSIONE TEDESCA. La risoluzione, per quanto simbolica, è importantissima visto che i tedeschi sono stati complici dei turchi. Nel 1915, infatti, la Germania guidata dal Kaiser Wilhelm II era alleata con gli ottomani nella prima guerra mondiale. Due anni fa, nel centenario del genocidio, il presidente tedesco Joachim Gauck lo aveva dato ad intendere con un discorso potente: «In questo caso, noi tedeschi dobbiamo ancora fare i conti con il passato e verificare se c’è stata da parte nostra una responsabilità, forse anche complicità, nel genocidio degli armeni».
PADRI FONDATORI ASSASSINI. Nonostante sotto l’Impero ottomano in disfacimento siano stati sterminati un milione e mezzo di armeni nel 1915, la Turchia ancora si rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni e si infuria ogni volta che qualcuno afferma questa verità storica, della quale esistono migliaia di documenti e testimonianze. Ci sono diversi motivi per cui Ankara non vuole ammettere il crimine commesso e perseguita in patria chi osa farlo pubblicamente. Da un punto di vista identitario, riconoscere il genocidio significherebbe accettare che i padri fondatori della Turchia siano degli assassini, e della peggior specie.
PROBLEMA ECONOMICO. Da un punto di vista più materiale, il termine genocidio, neologismo inventato dal giurista Raphael Lemkin per descrivere quanto avvenuto agli armeni, ha una valenza giuridica molto precisa: non cade mai in prescrizione, neanche dopo 100 anni, e dà il diritto alle vittime di chiedere un risarcimento per quanto perduto e anche per tutto ciò che è stato espropriato loro. La Turchia, dunque, dovrebbe pagare un conto salatissimo. Basti pensare che anche il palazzo del governo turco era di proprietà armena, così come Gezi Park, vicino a piazza Taksim.
Foto Ansa