All’ombra di una riforma sanitaria fortissimamente voluta, sino a minacciare di lasciare il suo pur traballante posto di ministro in un governo che prima o poi dovrà fare i conti con il terremoto elettorale del 13 giugno, Rosy Bindi è riuscita a realizzare un miracolo.
Ha messo d’accordo, tra gli altri, due uomini furiosamente scontratisi in tante occasioni: Roberto Formigoni e Ciriaco De Mita. “Viola l’autonomia regionale garantita dalla Costituzione”, ha detto il presidente della giunta della Lombardia, chiedendo al capo dello Stato, sia pure inutilmente, di non firmare il decreto. “Mi pare una cosa da socialismo reale, da pianificazione sovietica”, ha detto l’ex segretario della Dc, reduce dalla pur magra soddisfazione di avere raccolto nella corsa al Parlamento europeo 100mila preferenze in un partito, il Ppi, che di voti rispetto alle elezioni politiche del 1996 ne ha persi quasi dieci volte tanti: 915.618. Di questi, il segretario del partito Franco Marini ha attribuito una parte ai medici in rivolta contro la Bindi. Un’altra parte è stata attribuita da Silvia Costa al mondo del volontariato, anch’esso in rivolta contro il ministro della Sanità. E non ancora hanno avuto modo di sperimentare la cura Bindi i pazienti, molto più numerosi purtroppo dei medici e dei volontari. Quando questi avranno una scheda elettorale in mano, per il Ppi potranno essere guai peggiori di quelli già grossi del 13 giugno.