Pupi Avati è un genio tipicamente italiano e la sua autobiografia (La grande invenzione, Rizzoli) dovrebbe essere lettura consigliata nelle scuole per imparare cos’è un popolo e cos’è l’Italia. Detto ciò di uno dei nostri più prolifici artisti cinematografici, il nostro regista preferito rimane Mel Gibson. Tanto più adesso che, dopo averlo ridotto a figurina dei fedifraghi, antisemiti e alcolizzati di Hollywood, il politicamente corretto ha incassato l’articolo di una sua ex acrimoniosa accusatrice, l’ebrea e femminista Allison Hope Weiner, che ha firmato un redentivo e affettuoso ritratto del “grande peccatore”.
The Passion, naturalmente, ci ha commosso. Ma Apocalypto, a cui abbiamo dedicato un nostro personale sequel (il “post” di padre Aldo Trento che da questa settimana entra in sonno perché il nostro amico si prenda un po’ di meritato riposo), ci ha (fanciullescamente?) conquistato. La religione dei moderni (“Dio se c’è, non c’entra”) e dei postmoderni (“se Dio c’è, sono io”) non vale una cicca al confronto della realtà misteriosa, divina e carnale, che arriva fino a noi, oggi, come arrivò al primogenito di un capo tribù dello Yucatán sul finire del quindicesimo secolo.
Zampa di Giaguaro, protagonista di Apocalypto e simbolo degli indios delle foreste del Nuovo Mondo, che i Maya (di cui l’odierno mainstream riscrive la storia in chiave di paganesimo civile, vittime del colonialismo occidentale cristiano) frequentavano per sterminio, riduzione in schiavitù e strappare loro i cuori per placare l’ira degli dei. Ma l’avvertimento della bambina malata di peste ai predatori maya è analogo a quelli che migliaia di anni prima aveva fatto il profeta Daniele al re Nabucodonosor. Analogo a quelli giudeo-cristiani su cui si infrangerà il sogno di Barack Obama di cambiare i connotati alla legge naturale («La legge naturale altro non è che la partecipazione dell’eterno alla creatura razionale», san Tommaso).
Dice la bambina di Apocalypto e gli appestati di sempre: «Attenti, viene Colui che vi spazzerà via e metterà fine al vostro mondo. Lui è con noi adesso».
Ecco, tutto questo per consigliarvi la visione della Bibbia in onda la domenica in prima serata su Rete 4. Niente a che vedere con il Noah ambientalista di Russell Crowe. Per quanto la compressione di vicende plurimillenarie in dieci ore di miniserie tv si risolva in una narrazione frenetica e un po’ legnosa, la Bibbia prodotta da Roma Downey (un caso di nome omen che nel film interpreta una Maria attempata) coglie nel segno. Si capisce che Dio non è un’idea, ma è un avvenimento. Cioè, una storia.
Siamo arrivati alla terza puntata e nonostante un cast di attori discretamente repulsivi per l’immaginario collettivo forgiato su femmine sintetiche e maschi depilati (fa eccezione Diogo Morgado, il portoghese che interpreta Gesù, “Hot Jesus” per le fans di Fb), colpisce il mistero del “popolo eletto” e la grandezza dei suoi profeti. E adesso che è iniziata la vicenda di Gesù, ci è parso filologicamente perfetto sia il battesimo al Giordano («Giovanni, quello che fai è giusto»), sia la chiamata di Pietro. «Vieni con me, ti farò pescatore di uomini». «Pescatore di uomini? Per fare cosa?». «Per cambiare il mondo».