Simcha Jacobovici ha colpito ancora e ha aggiunto un altro tassello per comprovare la teoria che porta avanti da anni: Gesù è davvero esistito, ha storicamente passato una parte della sua vita a Gerusalemme, è stato crocifisso e sepolto ma non è mai risorto. Il controverso scrittore e regista ebreo ortodosso ha annunciato il 28 febbraio, in una conferenza stampa a New York, di avere nuove e freschissime prove di quanto sostiene fin dal 2007. Un gruppo di scienziati, guidati da lui e dallo studioso biblico James Tabor, ha esplorato un sito a Gerusalemme e scoperto una tomba che risale a prima del 70 d.C., dove è stata rinvenuta un’immagine in cui è raffigurato un grande pesce dalla cui bocca esce un uomo. Il riferimento al profeta Giona è chiaro, ma Jacobovici ricorda come nelle prime comunità cristiane quel racconto biblico fosse riletto come un’icona della resurrezione di Gesù. Fin qui è cronaca. Ma questa tomba si trova ad appena 60 metri da un’altra in cui nel 2007 il regista sostenne di avere trovato il vero sepolcro di Gesù. Con le sue ossa dentro.
In un documentario realizzato da Jacobovici nel 2007, il regista affermava che gli ossari della Tomba di famiglia di Gesù avevano un tempo contenuto i resti di Cristo e della sua famiglia. La tomba, sigillata dopo essere stata scoperta nel 1981 “per ragioni religiose”, è stata esplorata dal regista con una telecamera robotizzata. Qui ha rinvenuto degli ossari con delle incisioni che riportavano i nomi Gesù, Maria e Giuseppe assieme ad altri. Secondo Tabor, questa scoperta non è affatto contraria al cristianesimo perché «porta a interrogarci sul reale significato di “resurrezione”. Forse significa avere un nuovo corpo spirituale. Non per forza richiede il vecchio corpo in carne e ossa, specialmente se è diventato polvere con il tempo». Aver trovato simboli cristiani proprio di fianco alla presunta Tomba di famiglia di Gesù, confermerebbe che quest’ultima è davvero il famoso sepolcro.
Che la tesi sia controversa non c’è dubbio, soprattutto se a sostenerla è l’ebreo ortodosso Simcha Jacobovici. Nato nel 1953 in Israele, dove i suoi genitori si sono rifugiati dopo essere sfuggiti per miracolo all’Olocausto, a nove anni Simcha si è trasferito con la famiglia in Canada dove è cresciuto, laureandosi e ricoprendo diverse posizioni di spicco in associazioni ebraiche e sioniste. Come regista, si è sempre occupato della sorte degli ebrei. Prima con “Falasha: l’esilio degli ebrei neri” (1983), documentario che racconta di un gruppo di etiopi perseguitati per la loro fede dalle tribù vicine; poi con “La Struma” (2002), nave che doveva portare gli ebrei rifugiati dalla Romania alla Palestina e che venne affondata da un sottomarino sovietico; infine con “Impatto di terrore” (2004), che ricostruisce l’attentato terroristico dell’agosto 2001 in un ristorante Sbarro a Gerusalemme.
Ma Simcha, famoso per la serie Tv “The naked archaeologist”, ha guadagnato la sua fama grazie ad alcune “scoperte” su Gesù, la sua crocifissione e, appunto, la sua tomba. Il 4 marzo 2007, in piena Quaresima, Discovery Channel e Vision Tv in Canada mandano in onda “La tomba perduta di Gesù”, il documentario anticipato dal libro “La tomba di famiglia di Gesù” che racconta la storia della scoperta della “Talpiot tomb”, quella che per Jacobovici, autore del libro e del film, sarebbe il luogo dove Gesù è stato sepolto. E dal quale non è mai uscito. Come molti studiosi hanno fatto notare, il fatto che sugli ossari nella tomba ci siano i nomi Gesù, Maria e Giuseppe non implica affatto che lì dentro ci siano i resti (peraltro non trovati) di quel Gesù, quella Maria e quel Giuseppe. Soprattutto perché i nomi rinvenuti, come dimostrato dallo studioso Richard Bauckham, «erano comunissimi al tempo». La polemica con gli anni è stata dimenticata, ma il libro ha venduto moltissimo, per non parlare del documentario, che è valso a Jacobovici un premio Emmy.
Il 12 aprile 2011, proprio pochi giorni prima di Pasqua, Simcha convoca una conferenza stampa a Gerusalemme dove mostra due chiodi, che secondo il regista sono stati trovati nella tomba di Caifa, affermando che potrebbero essere tra quelli che sono stati usati per crocifiggere Gesù: «Non sto dicendo che sono quei chiodi» si è schermito, «ma solo che potrebbero esserlo». La faccenda non ha destato altro che critiche tra gli studiosi biblici e gli archeologi. Il suo documentario “I chiodi della croce”, però, prodotto dal premio Oscar James Cameron, non è per nulla passato inosservato.
Dopo tali e tanti precedenti, anche quest’anno Simcha, alle porte della Quaresima, è tornato alla carica con una nuova scoperta e, manco a dirlo, un nuovo libro. Il 28 febbraio scorso è infatti uscito “La scoperta di Gesù”: l’ultima tomba ritrovata ad appena 60 metri da quella dove secondo il regista è sepolto Gesù, ha scatenato come le altre volte il dibattito degli studiosi. Secondo Andrew Vaughn, direttore esecutivo delle scuole americane di ricerca orientale, «c’è lo zero per cento di probabilità che la loro teoria sia corretta». Secondo Yuval Baruch, archeologo dell’Autorità israeliana per le antichità, «il suo lavoro non è in alcun modo collegato al contesto». Il concetto di fondo è quello che esprimeva già il creazionista Bryant G. Wood, riferito a un documentario di Simcha sull’Esodo del 2006: «Jacobovici fa più danni che altro visto che ridicolizza l’evidenza archeologica e rafforza le tesi degli scettici che cercano di minare alla base la credibilità dell’Esodo». Dunque, più che «rafforzare la tesi della storicità di Gesù», come sostenuto dal regista stesso per convincere i credenti che la sua scoperta che nega la resurrezione non è in realtà contro il cristianesimo, i suoi lavori otterrebbero l’effetto contrario.
Ma se Simcha Jacobovici non è riuscito a dimostrare l’esistenza di Gesù né l’impossibilità della sua resurrezione, a giudicare dai titoloni che tutti i giornali del mondo gli hanno dedicato, una cosa l’ha provata in modo inconfutabile: a vendere Gesù ci si guadagna sempre.
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