L’Italia non crescerà. Le ipotesi fatte circolare dal governo a inizio anno, di un fragile, minuscolo, aumento del Pil nel 2014, sono inciampate sugli ultimi dati: «Si va verso la stagnazione», ha spiegato ieri l’Istat. Le analisi più ottimistiche dicono che l’economia italiana crescerà dello 0,2-0,3 per cento. «I decimali sono irrilevanti. Era prevedibile che il governo fosse costretto a rivedere le stime», spiega a tempi.it l’ex ministro delle Finanze Francesco Forte. «Dalla Confindustria alla Confcommercio, nessuno aveva creduto alla crescita dell’economia italiana nel 2014». Mentre Spagna e Germania complessivamente migliorano, l’Italia resta indietro. Secondo Forte, qualsiasi manovra finanziaria non cambierà la situazione dei prossimi mesi. «Per quest’anno ormai i giochi sono fatti. Bisogna vedere cosa accadrà nel 2015. Probabilmente l’economia crescerà solo grazie all’inflazione. Una cosa è certa – rimarca Forte – chi si illudeva che gli 80 euro di Renzi favorissero un’espansione della domanda interna è rimasto deluso».
Professor Forte, la manovra annunciata per settembre dal governo nasconde un quadro economico più fosco? Si parla di recuperare 10-20 miliardi di euro.
Ormai la crescita per due anni è quella prevista da tutti: stagnazione nel 2014 e aumento attorno all’1 per cento l’anno prossimo. La manovra di settembre, a quanto dice il premier Renzi, servirà solo a finanziare il bonus di 80 euro e forse a estenderlo per fare un favore solo a una piccola fetta della popolazione: gli elettori di Renzi. Se la situazione migliorerà si dovrà soltanto alla crescita dell’economia americana. La Fed aumenterà i tassi e l’Europa sarà più competitiva.
Non servirà a nulla nemmeno in futuro, il bonus di 80 euro?
Finora il bonus si è rivelato solo una operazione socio-elettorale. La mancata crescita è il sintomo che il governo non ha ancora affrontato i problemi che da anni azzoppano l’economia italiana. L’unica nota positiva per l’economia è la riforma del Senato e del titolo V della Costituzione, che impedirà alle Regioni di opporre veti alle opere di interesse nazionale.
Cosa ne pensa dell’addio del commissario alla “spending review”, Carlo Cottarelli (foto a sinistra)? Gli si deve addebitare qualche colpa nella mancata crescita?
Cottarelli è un keynesiano dirigista. Tornerà al Fmi, dove ormai fanno tutti parte di quella scuola di pensiero. Credeva di cambiare le cose tagliando gli stipendi. Ma non ha dato alcun contributo sulla riduzione del peso dello Stato nell’economia. Ha difeso un principio ideologico di “servizio pubblico”, senza capire che quello che bisogna tagliare sono i miliardi di euro che ogni anno lo Stato versa a più di 6 mila enti, molti dei quali inutili.
In che senso?
Bisognerebbe mettere da parte la gestione ideologica delle aziende di Stato. Perché bisogna versare miliardi alle Poste, alle Ferrovie dello Stato, alla Rai? Bisognerebbe costringere queste aziende a trovare finanziamenti sul mercato. Si può dire, come fanno le Ferrovie, che i binari non danno molti profitti, ma i treni?
Parla di privatizzazioni?
Più che altro bisogna cambiare metodo di gestione aziendale. E poi, liberalizzare. Liberalizzare in genere. Pensiamo al mercato del lavoro. Una maggiore flessibilità, un minor costo del lavoro, consentirebbe di diminuire la disoccupazione e di migliorare la vita a molti italiani. Non solo quelli che percepiscono il bonus Renzi.
Come potrebbero, da subito, invertire la rotta il premier Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan?
Intanto si potrebbe rivedere le modalità di raccolta dati degli istituti statistici. Da un decennio l’Istat calcola che il nero è al 17 per cento. Mi sembra un po’ strano. Poi dovrebbe riformare il metodo per valutare l’economia italiana, non concentrandosi sul gettito fiscale ma sul “Pil monetario”. Ci sono molti trucchetti utili.
In concreto cosa si dovrebbe fare?
Oltre ad abbandonare l’ideologia dirigista nella gestione delle aziende pubbliche e a liberalizzare il mercato del lavoro? Riformare la giustizia. In Italia ci sono troppi magistrati “pazzi”. Difficile che un’azienda straniera investa nel nostro paese quando sa che potrebbe ricavarne soltanto guai con la giustizia. Quando si viene a sapere che in Italia amministratori delegati di importanti aziende finiscono in prigione in assenza di prove, non si può pretendere che dall’estero facciano la gara per investire in Italia o che le imprese italiane, come la Fiat, appena possono, non scappino all’estero.