L’agenzia Sir ha intervistato padre Zuhir Nasser, rogazionista, parroco a Santa Maria Santissima e responsabile per i siro-cattolici di Amman (Giordania), che ha dato un quadro fosco del futuro dei cristiani in Iraq. Da molto tempo, ormai, si susseguono gli appelli e le denunce sulla loro situazione (qui, ad esempio, quello dell’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda) e gli studi che preconizzano la loro scomparsa dal paese (secondo Acs si estingueranno entro 5 anni). Parole e analisi confermate da Nasser, secondo cui «fra cinque o sei anni i cristiani in Iraq potrebbero non esserci più. Per loro il conto alla rovescia è già cominciato».
TUTTI SCAPPANO. Il parroco ha raccontato di essere stato a Natale a Erbil «tra i rifugiati cristiani di Mosul e della Piana di Ninive: molti stazionano lì da oltre un anno. Non possono fare nulla, vivono di aiuti e pensano solo ad emigrare in cerca di stabilità e di sicurezza. La loro meta è quella di ricongiungersi con altri familiari emigrati prima».
È per questo che molti di loro cercano di venire in Europa, spesso sfidando la sorte e andando incontro alla morte. D’altronde, non esistono alternative, dato che la speranza di poter ritornare a casa è ridotta a zero: «Molte città sono state completamente distrutte. Quanto ci vorrà per riedificarle? E soprattutto, dopo aver ricostruito, quanto tempo saremo in pace prima che scoppi un’altra guerra? Domande cui è difficile rispondere».
E IN FUTURO? C’è però un altro aspetto, spesso poco sottolineato, che preoccupa i rifugiati. «I curdi – ha spiegato padre Nasser – stanno scavando una trincea, profonda tre metri e larga due, nel territorio della piana di Ninive, già oggetto di contestazione tra il Governo centrale di Baghdad e quello del Kurdistan. Secondo fonti locali il fossato serve “per motivi di sicurezza contro Daesh” ma, a detta degli stessi abitanti, “è un modo per segnare il confine con Baghdad quando il Kurdistan dichiarerà la sua indipendenza». Il timore dei cristiani è che il futuro, nelle migliore delle ipotesi, non sarà comunque roseo, non essendo ora chiaro se, con la futura spartizione del paese, possa esistere un luogo dove le minoranze possano continuare a essere tutelate. Per questo «l’esodo non si ferma».