Antonio Ingroia chiude Rivoluzione civile, che ha visto la sua disfatta politica con una sonora bocciatura alle elezioni e, salutati con «intatta stima reciproca» gli altri compagni di avventura (De Magistris, Di Pietro, Ferrero e Diliberto) si rilancia in una nuova avventura: “Azione civile”. Stefano Cappellini, caporedattore centrale de Il Messaggero, non ha dubbi: «È uno scandalo: pretende di far politica con la toga, invece deve scegliere. Sta andando contro il più elementare principio dello stato di diritto: la separazione dei poteri».
Ieri in conferenza stampa, Ingroia ha spiegato che ritiene di essere stato sconfitto «per la preclusione totale di eventuali nostri alleati, e perché Rivoluzione civile è stata vissuta come un cartello elettorale; non siamo stati capiti».
Non sono d’accordo. Sono alibi accampati dopo il risultato elettorale. Quel che è inaccettabile è che un magistrato, per altro in servizio anche secondo il Tar, possa ancora andare avanti a far politica, fondando un movimento. Ingroia ha voluto già candidarsi, ha visto che non è andata bene, gli è stato imposto di tornare in servizio. Non è tollerabile che prosegua oltre, facendo il politico con la toga in spalla. Se Ingroia vuole fare il politico deve lasciare la magistratura, per un principio base di civiltà e politica.
La sconfitta politica di Ingroia significa che l’elettorato è stanco dei magistrati in politica?
Non mi faccio molte illusioni su questo, purtroppo. Lui ha perso per la concorrenza di Grillo sul terreno dell’antipolitica. Ma non si è chiusa la stagione in cui un pezzo di elettorato italiano continua a confondere le funzioni della politica con quelle della magistatura.
Ingroia punta ad allearsi con il Movimento cinque stelle o con quella parte del Pd delusa dal governo Letta. Pensa che ce la farà?
Non credo e non me lo auguro.