Siccome anche noi abbiamo avuto certe piccole rogne giudiziarie (niente di che, fatti i debiti scongiuri le nostre fedine penali restano immacolatissime) ma non abbiamo patti non scritti per i quali “tu mi passi le notizie, io ti garantisco fedeltà”, anche se non siamo proprio di casa, il Palazzo di Giustizia di Milano un po’ lo conosciamo.
Per esempio, una volta ci capitò di imbatterci nell’ex presidente dell’Anm Edmondo Bruti Liberati. Una persona gentile e simpatica, per nulla sospettosa nei riguardi di un giornalismo che, come sanno i nostri lettori, non ha alcuna simpatia (come d’altronde non ne ha l’insigne Luigi Ferrajoli) per la politicizzazione della giustizia e i suoi intrecci (talora indicibili) con i giornali. Il capo procuratore di Milano passeggiava per le fascistiche architetture di palazzo in compagnia della celebre Ilda Boccassini (soprannominata “la rossa” per via della sua militanza in Magistratura democratica), la quale, invece, si mantenne da noi ben discosta e guardinga.
Adesso che a Milano è di nuovo tutto un tintinnar di manette e pure l’arcinemico e lì lì per capitolare, quella scena ci fa venire in mente che la vita è fatta anche di incontri normali. Ben lontani dal clima di colluttazione che impronta da una ventina d’anni le relazioni tra magistratura e “gli altri” (e inspecie tra procura di rito ambrosiano e centrodestra). Si sa che Milano non è Palermo. Che il rigore qui è di casa, mentra laggiù «prosegue la nostra marcia rivoluzionaria» (Ingroia). Però come sarebbe bello che, anche nell’Olimpo degli dèi, il pm non si sentisse un cacciatore di untori e “gli altri” (della parte sbagliata) non fossero automaticamente inseriti nella lista della Colonna Infame.