Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Non c’è niente di peggio di un sogno collettivo che non si realizza. Un conto è l’individuo, un conto è la massa informe della “ggggente” che aspetta l’Evento che non arriva. Bolt doveva chiudere la sua avventura agonistica sui 100 metri con un oro ai Mondiali di Londra e invece spunta il reprobo Gatlin, 35 anni, cinque dei quali scontati per due condanne per doping. Il pubblico di Londra, il presidente dell’atletica mondiale, la stampa hanno fatto “buuu”. Tutti hanno celebrato Bolt, ma con l’incazzatura sotto pelle. Giusto, sbagliato, discutiamo? Non mi interessa. Quello che voglio dire è che se Gatlin fosse stato italiano, noi teste d’abbacchio saremmo stati i primi a dirci: eh, però, eh non so. Mi è tornata in mente la vicenda della testata di Zidane a Materazzi. Se fate un sondaggio nel nostro bel paese e chiedete al popolo chi dei due è meritorio di stima, non ci saranno dubbi, vincerà il Zizou per distacco. Ma se Gatlin si fosse pronunciato “Gatlén”, alla francese, adesso dall’altra parte delle Alpi starebbero a stappare lo champagne, a sparare i mortaretti e a urlare “W la France”. E lo farebbero anche in Germania, Spagna, Inghilterra. Gli stessi inglesi che hanno fatto i sostenuti su Gatlin, quando Christie, quattro anni prima sotto processo per doping, vinse l’oro a Barcellona illuminarono Buckingham Palace. Compagni, amici e bastardi di ogni genere e grado, per noi è tardi, ma i nostri figli mandiamoli in un paese senza distinguo, dove si apprezza il successo dei propri simili.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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