La perdita del principio di realtà ci sta causando guai immensi. Non subiamo solo gli effetti di una globalizzazione che introducendo al mercato dei produttori e consumatori colossi come Cina e India sottrae all’Occidente – e all’Europa in particolare – il monopolio di capitalismo e benessere. Non c’è soltanto l’improduttività di modelli economici – quello italiano in particolare – imprigionati da lacci e lacciuoli statal-sindacali. Da vent’anni a questa parte c’è, di nostro, di tipicamente corroborante il nostro declino nazionale, il mito seducente di magistrati a cui si guarda come redentori del mondo e salvatori dell’umanità.Magistrati che dalla stagione della “redenzione” della politica sono ora passati alla “redenzione” tout-court. Casi come ad esempio l’Ilva, di aporia tra salute, ambiente e lavoro, che galleggiavano da un quarantennio, vengono di colpo aggrediti e risolti con radicalità luddista. Analoghe riflessioni suggeriscono sentenze come quella sull’Eternit. Inutile ricordare che, stante il persistere dell’euforia tutta italiana del “fiat iustitia et pereat mundus” di investitori stranieri non se ne parla neanche. Dunque, siamo un paese che perisce per un eccesso di giustizia? No, siamo l’Italia che perisce per eccesso di finzione. Per finzione giuridica che agisce come trompe-l’oeil e che incide sulla società al modo con cui agisce sull’occhio un disegno di Escher.Infatti, cosa c’è dietro le narrazioni giornalistiche di una giustizia dalle raffinate facciate rinascimentali e dalle architetture piene di suggestivi piani di ristabilimento dei diritti politici, sociali, umani? C’è il palazzo senza finestre di una società politica, economica, umana, completamente piatta.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi