Annunciato con gli squilli di tromba mediatici della stampa specializzata e dei network radiofonici, già in buona parte masticato in rete attraverso succulente anticipazioni su Youtube, ecco arrivare il 15° lavoro di inediti dei Rem, una delle rock band più conosciute del pianeta Terra. Sul mercato discografico già da metà degli anni ’80, i Rem hanno avuto il massimo splendore a cavallo del decennio successivo con quel manifesto musicale che è “Losing my Religion”, poi buon rock, a tratti indelebili ballate e cenni di sperimentazione elettronica, fino a noiose involuzioni; quel modo di comporre “accordi in minore” (dichiarazione del front man Michael Stipe), hanno visto congelarsi gli entusiasmi intorno alla loro parabola artistica. Pur mantenendo un considerevole apporto di fan, i Rem non sono più riusciti a colpire l’immaginario collettivo con costanza: certamente la band non si è mai appoggiata alla pura immagine, ma ha sempre tentato di puntare tutto sulla ricerca musicale, pur non rinunciando a farsi supporter politici nelle campagne del Partito Democratico americano per i Diritti Civili di fede progressista.
Ora con “Collapse Into Now”, titolo che scompare nell’orrenda copertina del packaging, la formazione è come se volesse tirare le somme della trentennale carriera, rinfrescando le origini acustiche e alternando schegge di garage rock, tirato e ansioso. Arrangiamenti essenziali dove le chitarre sono protagoniste e la voce di Stipe recupera una freschezza e un divertimento, convinta nelle ballate che ritornano a essere immediate, con ritornelli di puro folk rock. “Collapse …” è, quindi, senza gridare al capolavoro, un album di buon rock, sopra la media, mediocre, di questi ultimi anni, sorretto da testi semplici, slogan giovanilisti tra sogno utopico e ottimismo buonista, una lista di brani che evita la ripetitività e aggiunge qualche chicca al catalogo della band: “It Happened Today”, per esempio si sviluppa quasi come una “Hey Jude” beatlesiana, con un finale corale, meno epico, a cui partecipa, gentile ospite, anche Eddie Vedder. Ballate come “Uberlin”, “Oh my Heart”, “Everyday is Yours to win”, intrattengono piacevolmente l’ascolto e il rock è “metropolitano” al punto giusto, quasi rincorrendo il modello “Green Day”. E anche se, alla fine, il lungo brano “Blue”, con la partecipazione di Patty Smith, lancia un indizio, sulla voglia di ritornare a qualcosa di più cervellotico, tutto l’album è l’occasione per i Rem di una bella gita tra le sette note, alla quale noi ascoltatori partecipiamo volentieri.