Caro direttore, le primarie del partito repubblicano americano, che si stanno svolgendo i questi giorni, non sono meno appassionanti di un mondiale di calcio. Lo scontro in diretta televisiva fra i tre principali candidati del Gop (Trump, Rubio e Cruz) che si è svolto il 25 febbraio è stato uno spettacolo d’intrattenimento molto più coinvolgente rispetto alla solita, stucchevole notte degli Oscar. Se paragoniamo le primarie repubblicane a un campionato di calcio, ebbene immaginate che in campo ci sia un uomo in stampelle che in ogni partita riesce a dribblare giocatori più giovani e più allenati e a fare un gol appresso all’altro. Ebbene quel giocatore in stampelle è Donald Trump, il multimiliardario inviso all’establishment repubblicano, per giunta digiuno di politica, che, quando si presentò alle primarie repubblicane, tutti davano per perdente. E invece sta vincendo anzi stravincendo sugli altri candidati.
Tutti pensano alle elezioni presidenziali di novembre. Se Donald Trump vincesse le primarie repubblicane, quante probabilità avrebbe di sconfiggere Hillary Clinton? A questa domanda cercano di rispondere, esaminando alacremente i risultati di molteplici sondaggi, fior di analisti di entrambi gli schieramenti. La maggior parte di loro sono giunti alla conclusione che, se dovesse battersi contro Trump, Hillary avrebbe la vittoria in tasca, tanto è vero che lei stessa, fino a poco tempo fa, si rallegrava delle vittorie di Trump. Ma sembra che alcuni giorni fa i suoi analisti le abbiano consigliato di cominciare ad avere paura. Infatti, secondo studi recentissimi, in caso di duello elettorale fra lei e Trump il distacco fra i due sarebbe pericolosamente minimo.
Ma si sa che tutte le previsioni fatte dagli analisti politici lasciano il tempo che trovano. In fondo, neppure i vertici del partito repubblicano possono giurare che, se vincesse le primarie, Marco Rubio avrebbe più probabilità di arrivare alla Casa Bianca di quante ne avrebbe Donald Trump. Tuttavia, in questi giorni tutti i repubblicani che contano, nessuno escluso, sostengono apertamente Rubio e denigrano Trump. Per tutti gli intellettuali americani, sia di destra che di sinistra, Trump è la personificazione stessa dell’aggettivo “impresentabile”. E la parola d’ordine, a destra e a sinistra, è una sola: “Fermare Trump”.
Uhm… mi sovvengono gli anni Novanta, quando l’obiettivo di tutto l’intellighenzia italiana era: “Fermare Berlusconi”. Ma l’espressione “fermare Trump”, come d’altra parte l’espressione “fermare Berlusconi”, è sinonimo di “fermare la maggioranza degli elettori”, dal momento che senza i voti della maggioranza né Trump né Berlusconi esisterebbero politicamente. Quindi in quel “fermare” c’è sempre un fondo di disprezzo radical-chic verso le “masse”. Effettivamente, Berlusconi e Trump hanno molto in comune: entrambi si presentano come uomini che combattono contro il partito degli intellettuali e dei politici di professione, da cui le masse si sentono quasi sempre incomprese e tradite. Come Berlusconi derideva la “politica delle chiacchiere”, così oggi Trump scrive in un tweet: «Little Marco Rubio is just another Washington D.C. politician that is all talk and no action» («il piccolo Marco Rubio è solo un altro politico di Washington che è tutto chiacchiere e niente azione»). E purtroppo i vertici del Gop (partito repubblicano) non hanno ancora capito che più insultano Trump più consolidano la sua immagine vincente di “uomo nuovo” che lotta contro l’establishment dei politicanti di professione, che sembrano pensare più alle loro poltrone e ai loro intrighi di palazzo che al bene del popolo. Trump è molto simile a Berlusconi anche quando sale sul palco: più che un politico, è un formidabile intrattenitore che ripete slogan brevi ed efficaci e non rinuncia mai allo sberleffo e al motto di spirito. Come Berlusconi, Trump fa una gaffe appresso all’altra, che ha il solo effetto di renderlo più simpatico agli occhi dei simpatizzanti (neppure il tweet con una frase di Mussolini è riuscito a renderlo meno simpatico). Infine, come Berlusconi, Trump è un uomo di successo che si è fatto da solo, un uomo di azione che, a differenza dei politici, crea imperi economici e posti di lavoro. Berlusconi esordì con queste parole: «L’Italia è il paese che amo». Trump oggi ripete: «Make America great again» («Facciamo l’America nuovamente grande»). Trump sa bene che, dopo otto anni di decadenza obamiana, il popolo muore di nostalgia della perduta grandezza.
Ma l’aspetto più interessante di Trump è la sua posa anti-intellettualistica, che agli intellettuali appare erroneamente come “demagogia”. Più che un demagogo, Trump è uno che parla all’uomo medio col linguaggio semplificato dell’uomo medio. Dal momento che tutte le scuole, le università e le redazioni dell’Europa e degli Usa sono state sistematicamente occupate dalla intellighenzia di sinistra, oggi essere intellettuali significa essere di sinistra e avere una istruzione superiore significa votare a sinistra (non a caso, secondo i sondaggi, la maggioranza delle persone dotate di istruzione superiore negli Usa vota per il partito democratico). Il pensiero della sinistra post-moderna lo conosciamo bene: è una mescolanza di marxismo, multiculturalismo e relativismo morale. Alla radice del pensiero di sinistra c’è l’eghelismo, la filosofia o diremmo ma la malattia filosofica che mette il ragionamento astratto al di sopra della realtà: «Ciò che è razionale è reale». Siccome non ha studiato abbastanza, ossia non ha avuto modo di farsi indottrinare dall’intellighenzia gramsciana, il popolo non è marxista, multiculturalista e relativista e non mette il ragionamento astratto al di sopra dei fatti. Anche se non ha gli strumenti intellettuali per capire la complessità della realtà, il popolo la realtà la vede, la tocca, la annusa. Anche George Orwell si era accorto che quella capacità di stare di fronte alla realtà che chiamiamo buon senso è un formidabile sistema immunitario che protegge la mente delle persone che ne sono provviste dai virus delle ideologie astratte, che si portano dietro il totalitarismo politico. E poiché il popolo possedeva molto buon senso, il popolo secondo Orwell avrebbe impedito ai vari ed eventuali grandi fratelli di prendere il potere.
Nel nome dei principi astratti del marxismo, del multiculturalismo e del relativismo, oggi gli intellettuali negano un fatto anzi due fatti giganteschi: la civiltà occidentale è la più grande civiltà mai apparsa sulla terra e l’islam radicale vuole distruggerla. Viene in mente Chesterton: «La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. (…) Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Ebbene, quel tizio impresentabile con un inguardabile capigliatura e le cravatte ridicole sale sul palco e, fra uno sberleffo e l’altro, dice che le foglie sono verdi e che l’islam è pericoloso.
Per un liberal-conservatore autentico tutte le idee di Marco Rubio sono giuste mentre quasi tutte le idee di Donald Trump sono… troppo vaghe per capire fino a che punto sono sbagliate. Ma poi, Trump ha anche delle idee? Finora non ha esposto delle vere idee, casomai ha solo gridato degli slogan, tutti abbastanza surreali. Ma fra tante cose discutibili, a Trump è capitato di dire alcune cose giuste, talmente giuste, talmente vere, che hanno cancellato in un sol colpo tutte le cose discutibili che aveva detto in precedenza. Riguardo al tema dell’immigrazione musulmana, Trump ha detto che, finché i musulmani non hanno risolto i loro problemi col radicalismo islamista, non è opportuno fare entrare negli Usa decine di migliaia di immigrati musulmani all’anno. E la polemista Ann Coulter, che sostiene apertamente Trump, ha chiosato che, pure ammettendo che solo l’1% di musulmani si dedichino al terrorismo, ebbene più aumenta il numero dei musulmani negli Usa più aumenta il numero di soggetti che corrisponde a quell’uno per cento e di conseguenza più aumenta il rischio di nuovi 11 settembre. Ed eccole le parole esatte pronunciate da Trump: «No! Abbiamo un problema serio con l’islam radicale, abbiamo un problema tremendo e non possiamo continuare ad essere una nazione stupida».
Questa affermazione da sola gli ha regalato montagne di nuovi voti. È una affermazione rivoluzionaria. Quel “No!” è innanzitutto un no alla grande narrazione marxista, terzomondista e anti-ocidentale, che occulta l’evidenza dei fatti. E le poche parole seguenti bastano a fare una rivoluzione copernicana non solo rispetto a questa grande narrazione marxista ma anche rispetto alla stessa correttezza politica e alla pacatezza degli altri repubblicani, che non osano ammettere che l’immigrazione musulmana pone problemi che, alla lunga, non possono essere risolti. Trump è un rivoluzionario rispetto al neocon Bush, che il giorno dopo il 9\11 si toglieva le scarpe ed entrava in calzini bianchi alla grande moschea di Washington per tenere in piedi l’illusione che, per risolvere lo “scontro di civiltà”, fosse sufficiente un po’ di “dialogo”.
Anche noi abbiamo un problema serio con l’islam radicale, un problema tremendo e non possiamo continuare a fare gli stupidi che fanno infinite distinzioni fra poche decine di terroristi e milioni di musulmani pacifici e laboriosi, come se le poche decine di terroristi non potessero ammazzare migliaia di persone in una sola volta (vedi 9\11) e come se gli altri milioni di musulmani pacifici e laboriosi non fossero conniventi con loro. Abbiamo un problema serio con l’islam radicale, un problema tremendo e non possiamo continuare a fare gli stupidi che consentono ai musulmani pacifici e laboriosi che non fanno i terroristi di costruire all’interno delle città europee delle cittadelle islamiche, in cui vige la sharia. Abbiamo un problema serio con l’islam radicale, un problema tremendo e non possiamo continuare a fare gli stupidi che riempiono le strade di maschi soli che sono stati educati a guardare alle “infedeli” che camminano per strada come a sporche sgualdrine cui bisogna fare capire che a comandare sono i membri maschi della umma islamica. Abbiamo un problema serio con l’islam radicale, un problema tremendo e non possiamo continuare a fare gli stupidi che “dialogano” invece di cacciare immediatamente da questo paese, verso quel paese, tutti quelli che non rispettano la nostra cultura e i nostri valori.
Ma Trump ha anche detto: «Noi non abbiamo confini, non abbiamo alcun controllo, i clandestini stanno inondando tutto. Abbiamo bisogno di costruire un muro e deve essere costruito in fretta. Il più grande costruttore sono io e vorrei costruire il più grande muro che avete mai visto. E in quel muro avremo una bella, grande porta, attraverso cui la gente potrà entrare nel paese, ma dovrà entrare legalmente». Ora, questa affermazione in parte è idiota ma in parte è semplicemente realistica. È idiota perché è materialmente impossibile da più punti di vista (principalmente dal punto di vista economico) costruire una grande muraglia lungo il confine fra gli Usa e il Messico. Tuttavia, questa affermazione appare sommamente realistica se al posto dell’improbabile “muro” mettiamo i più concreti “confini”. Quando spara cannonate retoriche contro l’immaginario “muro” di Trump, in realtà l’intellighenzia di sinistra cerca semplicemente di demolire il concetto stesso di “confini”. Ma da che mondo è mondo, ogni nazione è definita dai suoi confini, così come ogni corpo è limitato dalla superficie di pelle. L’esperienza delle devastanti, dolorosissime invasioni barbariche aveva insegnato ai cristiani medievali a costruire delle alte mura attorno ai loro cattolicissimi comuni. I cristiani sanno infatti che per eliminare ogni confine dalla faccia della terra sarebbe prima necessario eliminare il peccato originale, che da una parte crea quelle inevitabili divisioni fra gli uomini di cui ci parla l’episodio biblico della Torre di Babele e dall’altra mette i forti e i prepotenti contro i deboli e gli onesti. Ebbene succede spesso che i forti e i prepotenti governano i popoli e li scagliano contro i popoli vicini (pensiamo alla vicenda della Germania nazista), i quali di conseguenza hanno il diritto di proteggersi e contrattaccare.
Una sola cosa può limitare le conseguenze del peccato originale: il cristianesimo. Qualche padre della Chiesa disse: «Extra Ecclesiam nulla salus» («Al di fuori della chiesa non c’è salvezza»). Parafrasando questo motto, all’infuori della civiltà occidentale ossia cristiana non c’è civiltà, c’è solo barbarie. Anche se ha ripetutamente tradito il cristianesimo, prostituendosi all’ateismo, la civiltà occidentale rimane figlia del cristianesimo e conserva ancora il deposito dei valori cristiani, che comprendono i diritti dell’uomo. Senza quei valori, la vita umana cessa di essere umana e diventa bestiale: «Homo homini lupus» («L’uomo è lupo per l’altro uomo»). Dunque pure di difendere quel deposito, che è il tesoro più prezioso del mondo, dobbiamo tenere alla larga i “lupi” che vogliono entrare con l’inganno entro i confini dell’occidente per imporci la loro barbarie travestita da cultura. E spesso questi “lupi” si travestono da agnelli poveri e bisognosi. Togliere i confini all’occidente è come scuoiare un uomo. E se muore l’occidente, muore tutta l’umanità. Purtroppo, come ho spiegato in precedenza, è proprio questo che vuole l’intellighenzia di sinistra: distruggere l’occidente, colpevole di avere rigettato il comunismo. La sinistra non vuole confini perché vuole che i orde di lupi entrino e distruggano tutto.
Se abbattiamo i muri della nostra casa, la nostra casa non c’è più e di conseguenza non possiamo ospitare più nessuno. Se facciamo entrare troppa gente a casa nostra, la casa diventa inabitabile e di conseguenza stiamo male sia noi che i nostri ospiti. Ma come i muri hanno porte e finestre, così i confini devono avere, come hanno sempre avuto, dei punti di passaggio. Ebbene, l’occidente ha un compito, che gli è stato assegnato dalla storia: condividere il suo deposito di valori ossia civilizzare quanti abitano al di fuori dei suoi confini. Per civilizzarli, ne può fare entrare solo pochi alla volta, dividendo i lupi dagli agnelli. Si può giustamente obiettare che ci sono stranieri e stranieri, che i messicani non sono come i fondamentalisti islamici. Questo è vero. Ma realisticamente, l’inondazione continua di clandestini provenienti dal Messico ha creato problemi enormi non solo per gli americani autoctoni ma anche per gli stessi immigrati messicani regolari. Ad esempio in South Carolina, dove non a caso Trump ha trionfato, l’eccesso di manodopera a basso costo di provenienza messicana ha fatto crollare i salari per tutti, impoverendo tutta la regione. Inoltre, dobbiamo tenere presente che il processo di scristianizzazione forzata avviato dalle élite massoniche ha fatto molto male al popolo messicano. Gli affiliati dei potentissimi cartelli della droga, che controllano parte del territorio messicano, non sono meno spietati dei guerriglieri dell’Isis. Non è dunque un caso che i clandestini provenienti dal Messico mostrino una spiccata inclinazione al crimine violento (ne parla diffusamente Ann Coulter nel suo ultimo libro: Adios America!).
Quando la casa brucia, non chiami l’architetto, il costruttore e l’arredatore: chiami il pompiere. Metaforicamente parlando, oggi l’occidente brucia. E sempre metaforicamente parlando, il migliore architetto-costruttore-arredatore adesso è Rubio ma il migliore pompiere è Trump. Per noi liberal-conservatori, Rubio è senza dubbio il migliore candidato alla presidenza degli Usa in circolazione. Ma forse, in clima di emergenza, dobbiamo rinunciare per un poco al politico migliore e chiedere aiuto al politico più politicamente scorretto, che fa quelle cose politicamente scorrette ossia sommamente realiste che oggi sono sommamente necessarie: proteggere l’occidente dai barbari. Solo l’acqua della scorrettezza politica potrà arginare efficacemente l’incendio della barbarie.
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