Se Mike Huckabee è una meteora, Mitt Romney è una stella cadente. Non si spiegherebbe altrimenti la parabola discendente dell’ex governatore del Massachusetts che ha messo sul piatto 35 milioni di dollari nella corsa alla Casa Bianca per poi essere sbeffeggiato nel supermartedì dal suo collega, che la dimora l’ha in Arkansas e che – come ha ironizzato il suo stratega Ed Rollins – «non arriverà nemmeno a 10 milioni di dollari di contributi». La resa annunciata giovedì scorso davanti alla platea della Conservative political action committee, il gruppo conservatore più importante d’America, segna quindi la fine della sua avventura. Otto anni dopo i “dirty tricks” di Rove che lo affossarono in South Carolina, McCain è arrivato laddove puntava: alla nomination.
Pareva un predestinato Romney, baciato anche dalla sorte. Come quando salvò dalla bancarotta i giochi olimpici di Salt Lake City. Era il 2002 e da lì a poco Willard Mitt Romney, mormone nato a Detroit 61 anni fa, sarebbe diventato governatore del Massachusetts, lo Stato più “a sinistra” d’America, dove anche il più conservatore ha vedute liberal sui temi sociali ed etici.
Romney aveva pianificato ogni mossa della corsa alla Casa Bianca. Partenza fulminea, filotto in Iowa e New Hampshire e poi via di conserva sino al supermartedì e alla nomination. Alla fine di novembre il disegno tracciato sulla mappa d’America teneva. Poi l’imponderabile. Che ha l’accento del Sud e un radicamento nel cuore della Bible Belt. Mike Huckabee, ex pastore battista, riferimenti biblici in discorsi armoniosi come sermoni e parole tanto vellutate quanto forti, ha rotto gli schemi vincendo fra i granai del Midwest.
La sconfitta ha non solo inficiato lo schema di Romney ma gli ha sottratto una delle poche certezze che si era conquistato a fatica: il sostegno dei conservatori e degli evangelici. Quasi un’impresa, vista la sua fede mormone. Un cristiano rinato su due considera i mormoni una setta. Romney in dicembre aveva fatto rotta su Austin e tenuto un discorso su politica e religione per fugare ogni dubbio sulle credenziali conservatrici. Traballanti a dire il vero se si scorrono gli annali. Su aborto e ricerca sulle cellule staminali solo ultimamente ha abbracciato l’intransigenza della destra; e sul no ai matrimoni gay la sua opposizione è tiepida. Il Weekly Standard quando nel gennaio del 2007 annunciò l’intenzione di correre per la nomination repubblicana, lo ha accolto snocciolando e documentando in un articolo pungente tutti i suoi cambiamenti di umore. Eppure, malgrado queste “indecisioni”, i conservatori e la base del partito lo hanno preferito a John McCain anche nel supermartedì che ha segnato la fine dei suoi sogni presidenziali.
È stato Huckabee con la cinquina di Stati vinti nel Sud il killer del candidato del New England. Per tutto il mese di gennaio Romney ha guardato al 52enne pastore battista dall’alto in basso, come a qualcuno piombato in corsa per sbaglio e destinato a mollare la presa in fretta. Lo riteneva la terza ruota. È finito lui per essere scartato. «La terza ruota non viene dall’Arkansas», ha scherzato Rollins.
Il 52enne che vuole mettere al bando l’aborto e cancellare le unioni gay controlla gli Stati del Sud e nel Midwest ha spaventato anche McCain. Per una manciata di voti non gli ha soffiato Oklahoma e Missouri, quasi 100 delegati in un colpo. E oggi, benché la nomination non sia affar suo, l’opportunità di mettere il piede alla Casa Bianca è reale: a Washington i rumor su un possibile ticket McCain-Huckabee si fanno sempre più frequenti. Il “maverick”, il cane sciolto che fa storcere il naso ai conservatori puri, con il garante dei social conservatives. Norman Ornstein, analista dell’American Enterprise Institute, spiega a Tempi: «Il senatore dell’Arizona si guarderà in giro ancora, ma Huckabee ha la chance di correre al suo fianco per la vicepresidenza. È lui che ha distrutto Romney al Sud».
In una sfida contro un ticket, per ora più una fantasia giornalistica ma eccitante sotto il profilo dell’appeal, come quello Obama-Clinton, la coppia Huckabee-McCain ha le carte in regola per galvanizzare e unire la composita e litigiosa galassia conservatrice. Il supermartedì ci ha regalato uno scenario più nitido in casa repubblicana. Il fine settimana ha spazzato via anche i dubbi. Uscendo di scena Romney ha abbassato la guardia e permesso a McCain di dargli il colpo del ko che nel supermartedì non gli era riuscito. «La grande disponibilità di quattrini non l’ha aiutato», ha sentenziato Karlyn Bowman, editorialista del settimanale di politica Roll Call.
All’esame del “true conservative”
McCain quindi. I conservatori arricceranno il naso. Il loro sostegno era l’unica arma rimasta in mano a Romney. E non è un caso che davanti a loro abbia alzato bandiera bianca. Qualche ora prima McCain aveva chiesto ai compagni di partito di unirsi attorno al suo nome perché lui è un “true conservative”. Molti leader evangelici hanno deposto le armi. Tony Perkins e Gary Bauer sono pronti a votarlo. E anche diversi senatori e deputati ostili al veterano del Vietnam dinanzi allo spettro di un liberal al 1600 di Pennsylvania Avenue hanno iniziato ad appoggiare la rincorsa di “Mac”.
Resta lo zoccolo duro. Immobile nei suoi sentimenti viscerali anti McCain. Come il 70enne James Dobson, leader del Focus on Familiy Research, gotha del pensiero della destra cristiana. Certo il tam tam dei blog e delle radio conservatrici che promettono il boicottaggio delle urne in novembre se sulla scheda ci sarà il nome del veterano del Vietnam, può rovinare la corsa di “Mac”. Ma non ci sono solo le urla dei blogger e le invettive dei conservatori che odiano “Il liberal McCain” a rendere tortuoso il cammino. Più che tenere insieme le anime della destra, dovrà ricompattare la galassia conservatrice. Moderati, realisti, neoconservatori, social conservative, libertari. Ognuno aveva un suo candidato ai blocchi. È rimasto il meno conservatore, il più credibile. Ma forse ha ragione Ornstein: «I conservatori che odiano McCain dove altro potevano andare a parare per sperare di vincere?».