I greci hanno detto “oxi”, no, all’accordo presentato ad Atene dall’Unione Europea in cambio di nuovi prestiti. Nel referendum di ieri, proposto dal premier Alexis Tsipras, il no ha ottenuto il 61,3 per cento dei voti, il sì il 38,7. Il premier greco, che caldeggiava questo risultato, ha esultato: «Avete fatto una scelta coraggiosa, ma sono consapevole che il mandato che mi avete dato non è di rottura».
NON USCIRE DALL’EURO. Tsipras non vuole uscire dall’Unione Europea, i greci tantomeno, ma ora trattare non è più facile, semmai più difficile. Per alleggerire la situazione, il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis si è dimesso stamattina, ma potrebbe non bastare per far digerire il risultato del referendum ai creditori europei.
OPZIONE A. Secondo il New York Times, la trattativa è stata gestita così male da Grecia e leader europei, che ora l’Ue si trova davanti a due possibili opzioni, entrambe perdenti. Opzione A: «Se tollera le richieste del governo greco, l’Europa stabilirà un cattivo esempio per ogni paese che in futuro voglia mettere in discussione le rigidità dell’Ue, dicendo agli elettori di Portogallo, Spagna e Italia che se fanno abbastanza casino, ed eleggono partiti estremisti, potranno avere accordi migliori». Faranno insomma capire che chiunque «può ottenere ciò che vuole» e far pagare «i propri debiti al resto dell’Europa, se si dimostra abbastanza intransigente».
OPZIONE B. Opzione B: «Se rifiutano le richieste del governo greco e tagliano i fondi, il sistema bancario greco crollerà e il paese uscirà dall’eurozona, mandando così il segnale che l’Ue è profondamente fragile». Oltretutto, il collasso della Grecia «costerà al resto dell’Europa più soldi di tutti i possibili e generosi piani di rientro».
«SCONFITTA DELL’EUROPA». Questo duplice scenario dimostra, come scrive in un editoriale anche il Sole 24 Ore, che il risultato del referendum, più che la vittoria di Tsipras, rappresenta «la sconfitta bruciante e clamorosa dell’Europa e dell’eurozona». Infatti, sono gli europei che fin dall’inizio «hanno forzato un’equazione inesistente», (“se votate no, siete fuori dall’Europa”), «non prevista dai Trattati ma accarezzata con convinzione da chi, e sono molti, considera la Grecia e il suo risanamento una partita persa».
«SUICIDIO COLLETTIVO». Peccato che «Grexit equivarrebbe a un suicidio collettivo»: i mercati potrebbero «mostrarsi severi con l’intera area per comprovata incapacità, in 5 mesi di negoziati, di regolare un problema minore come quello greco (2% del Pil, 3% del debito): cosa succederebbe domani, si chiederebbero, se il problema diventasse portoghese, spagnolo o italiano? O addirittura francese?».
IL RIGORE FUNZIONA? La Grexit sarebbe un «boomerang» non solo da un punto di vista economico, o geo-politico, ma anche strategico, perché ci si «accanirebbe contro un partner e un popolo che hanno avuto il torto di esprimere dissenso da regole e politiche che, anche quando applicate nel modo più serio e rigoroso, finora hanno prodotto encomiabili virtù di bilancio ma non altrettante virtù di sviluppo economico».
NON SOLO SOLDI. Il problema, del resto, non è solo di Atene «se anche la Germania, l’indiscusso campione europeo, cresce poco sopra l’1%». Forse, «sarebbe opportuna qualche autocritica, il ripensamento del modello europeo, dei suoi parametri e delle sue regole e dei suoi tabù per metterlo al passo con economia e competitori globali». Ma per questo ci vuole lungimiranza, sia da parte dell’Europa che della Grecia. Perché Grexit non «può essere ridotta a una mera partita contabile. Atene è le radici, la storia, la cultura, la democrazia europea. L’Europa non si può dimenticare un pezzo fondamentale della sua identità. Adesso sarebbe ora che la Grecia facesse altrettanto».
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