L’Italia è una singolare nazione, nella quale con una certa larghezza si entra in carcere prima di essere condannati, anche in via non definitiva, e con altrettanta larghezza si esce dal carcere quando si è condannati, soprattutto se la condanna è definitiva. Ci si lamenta dell’abuso della custodia cautelare, ma i provvedimenti che si adottano – con l’eccezione di quanto è accaduto durante i governi di centrodestra – non puntano a rendere ragionevole il ricorso al carcere preventivo, bensì a vanificare le sentenze passate in giudicato. Così l’ingiustizia è duplice: ogni anno migliaia di persone perdono la libertà senza aver commesso reati; ogni anno migliaia di delinquenti tornano in libertà avendo commesso reati.
L’ultimo saggio di questa schizofrenia è il decreto “svuota-carceri” all’esame del Parlamento. Esso non sfiora né i meccanismi della custodia cautelare, né la responsabilità di chi priva della libertà quando non ve ne sono i presupposti. Sfiora solo nominalmente il gran numero di stranieri detenuti in Italia, che potrebbero espiare la reclusione negli stati di origine. Non fa nulla per utilizzare i 5 mila posti in più realizzati negli ultimi anni nel sistema penitenziario (nel senso che non prevede deroghe alla limitazione del turn over del personale, e quindi quei posti resteranno vuoti!). In compenso abbatte le sanzioni previste per i delitti più gravi: con una condanna definitiva a venti anni di reclusione – pena seria, da omicidio con aggravanti – in realtà, grazie a questo decreto e ad altri benefici, sarà possibile uscire dal carcere già dopo sei anni.
Risultato? Minore sicurezza, in un momento di aumento – dopo tanti anni – degli indici più preoccupanti della criminalità, con l’aggravante di mantenere in carcere innocenti ed extracomunitari. Qualcuno in Parlamento fermerà tutto questo?