Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Giuliano Ferrara non ha mai amato (eufemismo) il Movimento 5 Stelle. E non l’ha mai nemmeno nascosto, e questo gli va riconosciuto. A differenza di tanti opinionisti e commentatori che si sono infatuati delle baggianate sulla trasparenza, lo streaming e altre corbellerie hi-tech, Ferrara ha sempre parlato malissimo di “Gribbels” – è questo il nomignolo con cui dileggia il gran guru dei grillini. Insomma, non era fra quelli che ai tempi del «vaffanculo» e del «vi conteremo anche le caramelle», applaudiva o faceva sì sì col capo ai piedi del palco del comico genovese.
Ora che, così rapidamente, l’incantesimo pare essersi rotto dopo i grotteschi pasticci della giunta Raggi a Roma, Ferrara continua a prendere una postura assai diversa dai suoi colleghi. Mentre quelli vergano spaesati editoriali per spiegare a Di Maio e Di Battista come interpretare ed attuare correttamente gli assiomi anticasta, l’ex direttore del Foglio morde direttamente alla giugulare i postulati su cui si fonda la filosofia della Casaleggio Associati (oddio, a dirla così, pare pure di attribuirle una parvenza di serietà). E lo fa, ovviamente, a suo modo, con gran sfoggio di paradossi, iperboli, ironia.
Adesso che tutti la attaccano, non è venuto il momento di difendere Virginia Raggi, soprattutto da se stessa?
Ma scherziamo? I grillini sono il male assoluto, sono una perdita di tempo, la più grande mistificazione culturale della storia recente. Raccontano solo bugie, sono una fabbrica di cazzate. Grillo è un comico annoiato che si è buttato in politica perché non sapeva come impiegare i pomeriggi. Ma è solo un demagogo, nient’altro. E i suoi rappresentanti, gente che ha raccolto mille o duemila voti in Rete, impersonificano l’Italia peggiore. Il Movimento 5 Stelle è una truffa, è fuffa, è il nulla, il niente, il vuoto, è gente con cui non vale nemmeno la pena di confrontarsi.
Però i voti li hanno presi.
E vabbè. Può pure capitare nell’Italia di oggi che su di loro convergano i voti di protesta.
Vogliamo dire almeno che su una cosa, per una volta, ha ragione Marco Travaglio, che sul Fatto ha scritto che, per quanto riguarda l’assessore Paola Muraro, le sono state rivolte accuse «tutt’altro che infamanti»?
Di Travaglio non voglio parlare. Vogliamo parlare della Muraro? Ma chi? Quella signora che è diventata assessore attraverso una nomina poco trasparente e che fino al giorno prima frequentava ambienti che tutti i giornali dipingevano come sordidi? Ma chi? Quella che bazzicava i collaboratori di Alemanno, lo studio Previti, Cerroni, Buzzi? Ma non ci avevano raccontato fino a ieri la malfamata storia (una stupidata, intendiamoci) di Mafia Capitale? La verità nuda e cruda è una sola: questa signora è inadatta a fare l’assessore dell’Ambiente. Si fidi di me che è da quarantacinque anni che faccio l’osservatore politico. Non mi scandalizzo che nella vita si facciano degli errori e delle svolte, è normale ed è da mettere nel conto. Ma per quanto riguarda il M5S non si tratta di uno sbandamento rispetto alla direzione di marcia, qui si tratta della qualità intrinseca del grillismo. È questo il problema.
Un “problema” che oggi governa Roma.
A parte Ignazio Marino, che è stata la scemenza a cinque stelle del Pd, tutti i predecessori di Raggi, al suo confronto, rifulgono come degli statisti. Insomma, non so se si è capito cosa penso.
Non credo possano esserci dubbi.
Aggiungo: ci rendiamo conto che questi basano la loro azione politica su princìpi che possiamo far risalire al nazismo? Perché certe cose le pensava Hitler, manco Mussolini. Distruggere i partiti, abolire la democrazia rappresentativa, aprire il parlamento come una scatola di tonno, questa sonora stupidaggine della supremazia della Rete. La Rete è un meraviglioso archivio, un bel giocattolo, serve a mandare le email, ma non puoi fondare la democrazia sulla Rete, siamo seri. Che poi, intendiamoci: questi sono nazisti per modo di dire, all’acqua di rose, sono nazistelli da commedia, non hanno mica la grandezza mefistofelica delle SS. È gente senza cultura che non sa niente e non ha letto niente. Hanno chiamato la loro piattaforma “Rousseau” e manco sanno chi sia, probabilmente. La loro non è politica, è strategia di marketing.
Ferrara, lei però è l’unico che la pensa così. Dopo il caso Raggi a Roma, a parte un bell’articolo del politologo Giovanni Orsina sulla Stampa, gli editorialisti dei più importanti quotidiani hanno scritto – sintetizzo grezzamente – che quelle del Movimento sono idee belle e giuste, solo che sono state male applicate. Per esempio, sul Corriere della Sera, il sociologo Mauro Magatti ha scritto che il M5S deve «ritrovare l’ispirazione perduta». Insomma, il grillismo è giusto nelle sue premesse, va solo incanalato nella corretta direzione.
Eh caro mio, ma mica lo scopriamo oggi che l’Italia è un paese vittima del sistema mediatico giudiziario e che è il regno dell’opportunismo generalizzato che solo raramente si orienta verso persone di valore. Voglio dire: c’erano molti opportunisti anche ai tempi di Craxi, di Berlusconi, di D’Alema, oggi di Renzi. Ci dobbiamo sorprendere della loro esistenza? Ma quest’ultimo caso è particolare. Dai grandi della tv, che sono stati la macchina da guerra per spargere il verbo grillino in Italia, a tanti acuti commentatori (penso al mio amico Ernesto Galli della Loggia che dichiarò di avere votato M5S), a bravi giornalisti (un’altra mia amica: Lucia Annunziata), i grillini sono stati portati in palmo di mano da gente che si è bevuta il cervello per opportunismo. Che dobbiamo farci? Renzi lo odiano perché rappresenta una sinistra liberale moderna, e così si sono buttati sul comico. Ma è un abbaglio, uno spettacolo indecoroso. Dovrebbero fare autocritica, come si usava ai tempi di Stalin e Mao. Adesso sarebbe il momento di elaborare il lutto, ma non vogliono fare nemmeno quello.
E perché non lo vogliono fare?
Perché siamo italiani. Aspettiamo dalla classe dirigente delle soluzioni e dei risultati che non siamo disposti a costruire con la fatica e il sudore. Non facciamo più figli e, a parte a Milano, lavoriamo poco. Siamo gente ben rappresentata dalla commedia all’italiana: ci sediamo in poltrona e stiamo a vedere se Grillo ce la fa ad attraversare a nuoto lo Stretto di Messina. Di più, non vogliamo sapere.
Sul Foglio avete scritto che il grillismo affonda le sue radici nelle battaglie anticasta. Ed è certamente vero, ma forse si può risalire anche più indietro negli anni, ai tempi di Mani Pulite.
Concordo. In effetti siamo il paese che ha preso sul serio Antonio Di Pietro. Se lo ricorda il Mugello, no? A parte io e pochi altri, nessuno si rendeva conto di chi realmente fosse, non ci rendiamo conto nemmeno oggi. Quando giravo il collegio per la campagna elettorale, glielo dicevo io a quei vecchi e sinceri comunisti: ma che fate, compagni, votate Di Pietro? E quelli, sì, hanno votato disciplinatamente il pataccaro.
C’è una questione laterale al caso Raggi e che tuttavia fa pensare. Ormai i leader politici non durano più di un tweet, si spengono rapidamente come dei fiammiferi. Brillano un po’ e poi si eclissano, seguendo i tempi dell’informazione che ha continuamente bisogno di volti nuovi per tenere desta l’attenzione. Una volta, almeno, con un po’ di spesa pubblica e con un consenso gestito dai partiti, un politico aveva il tempo di crearsi, per dirla con una parola “antica”, una “base”. Ma oggi, senza soldi e senza partiti, che si fa?
Sì, è vero, è così ed è un fenomeno che riguarda in modo particolare il M5S. Ma è iniziato con Berlusconi e con la sua idea di partito carismatico. A Berlusconi, come è noto, voglio bene, ma oggi ha ottant’anni e gli faccio tanti auguri. Con i partiti personali è inevitabile che, eclissandosi il leader, scompaia il partito. Ora è rimasto solo il Pd a dare un po’ di garanzia di stabilità. Io mi auguro che Renzi vada avanti e trovi una sua dimensione. Dall’altra parte c’è Stefano Parisi, che è un altro che dà certe garanzie. E poi viene da Milano, una città decontaminata dal grillismo, magari da lì può ripartire per costruire un nuovo centrodestra.
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