Il direttore e i lettori e gli amici di Tempi credo siano stati i meno sorpresi di tutti, quando hanno appreso che il 30 luglio è stato pubblicato un appello del quale sono stato tra i sette promotori iniziali. Trovate il testo sul sito www.fermareildeclino.it, corredato di un manifesto in dieci punti. In meno di due settimane abbiamo raggiunto i 20 mila aderenti, e per esser partiti a spese nostre non c’è malaccio.Non è la nascita di un partito, tanto meno il “mio” partito, ma un appello per vedere quanti condividano alcuni punti chiari: una volta verificata l’ampiezza del sostegno decideremo quali altre iniziative farne discendere. Siamo persone di estrazioni culturali e ascendenze diverse: io mi sono formato nella vecchia casa del Pri; ci sono animatori di think tank su mercato e concorrenza come De Nicola (Adam Smith) e Stagnaro (Bruno Leoni); economisti italiani che insegnano in America come Michele Boldrin e Sandro Brusco; c’è Luigi Zingales, che da anni rompe le scatole nei cda di importantissime società private. Abbiamo ciascuno un mestiere e qualche visibilità, ed è probabile che ci rimetteremo reddito e occasioni professionali dicendo con chiarezza come la pensiamo. Come? È presto detto. In realtà, è proprio su queste colonne che ho sviluppato gran parte delle riflessioni alla base dell’iniziativa fermareildeclino.it. Si parte dall’amara constatazione che partiti e coalizioni degli ultimi vent’anni meritano un giudizio totalmente negativo. Il ritorno di Berlusconi dopo 7 mesi al timone del Pdl dove con Alfano nulla era successo dovrebbe parlare ancor più chiaramente ai milioni di italiani delusi da 18 anni di voti attribuiti a chi ripeteva ogni volta «meno tasse e meno spesa», per poi fare sempre l’esatto contrario. Con una sinistra che oscilla tra mega-patrimoniali e divisioni su ogni cosa, il primo a sapere che cosa avverrebbe dell’Italia sui mercati se vincesse con Vendola e Di Pietro con l’attuale legge elettorale è proprio Bersani. Tanto tutto ciò è chiaro, che il Quirinale si dà da fare da mesi perché i partiti rinuncino non solo alle scandalose liste bloccate, ma soprattutto al premio di maggioranza, in maniera che nessuno vinca. Perché con Berlusconi o Bersani al comando, con la loro eterogenea e – per ragioni diverse – poco stimabile dai mercati corte di sostenitori l’Italia accelererebbe la sua messa in mora già in corso da anni.
La cosa a nostro giudizio incredibile è accettare tale prospettiva senza dedurne che occorre modificare l’offerta politica. C’è chi prefigura una soluzione tutta interna al vecchio recinto dei partiti, ed è Pier Ferdinando Casini, che apre al Pd. Noi la pensiamo diversamente. Siamo convinti che Berlusconi sia da tempo un capitolo che va chiuso, che il Pdl sia a questo punto un’espressione di mera difesa personale e aziendale. Pensiamo che agli italiani vadano proposti pochi punti chiari per il dopo Monti, e che il loro voto serva eccome, e non sia un torneo inutile per far restare Monti dov’è. Per non uscire dall’euro e capitombolare in più povertà, il binomio delle scelte necessarie resta quello che da anni destra e sinistra non hanno imboccato: abbattimento del debito tramite cessione di attivi pubblici; 6 punti di Pil almeno di spesa pubblica retrocessa in meno imposte a lavoro e impresa.
Non serve all’Italia un partitino delle imprese, una riedizione di vecchie conventicole elitiste laiciste e liberiste. Serve parlare agli italiani che diventano ex produttori, ai milioni che così non lo diventeranno mai. È al sostegno del loro reddito che bisogna pensare, alla produttività del mercato interno, perché il miracolo dell’export da solo non può evitarci disastri. C’è anche un punto che riguarda Nord, il Sud e il federalismo. Lo sottolineo perché insieme alle promesse tradite da Berlusconi su tasse, spesa e debito, il Nord è l’altro disastro irrisolto figlio di 18 anni di chiacchiere. Ne abbiamo parlato qui diverse volte, seguendo le orme di Luca Ricolfi e Piero Bassetti, che oggi rilancia le tre macroregioni che potrebbero risolvere la questione crescita-debito-Ue come Roma non è riuscita a fare. Che cosa pensa di questo il vostro mondo e il vostro movimento? E voi individualmente? Berlusconi e i suoi sono ancora riferimenti? Personalismo e sussidiarietà e federalismo stanno nei vecchi partiti? O sono le risorse del fondatore a sembrare insostituibili, anche quando sapete benissimo che non ha più chance di un governo credibile, lui e chi resta con lui? E da quanto avviene in Lombardia, pensate di difendervi meglio restando dove siete? Oppure è una crisi che rende necessaria una revisione globale? Fatemi sapere. Io non sono certo salvatore della patria, né chi firma con me. Ma crediamo nel popolo italiano molto di più di chi pensa che debba votare perché un cavolo cambi, perché l’Italia non può darsi un programma deciso di autoequilibratura e crescita, euro o non euro, tedeschi o non tedeschi.