Può sembrare un paradosso, parlare di risparmio di questi tempi in Italia. E invece è proprio vero il contrario. La tempesta dell’euro, giunta al trentaduesimo mese e iniziata tre elezioni greche fa, ha regalato al mondo un’euroarea sfibrata e per metà in recessione dura, il calo del ritmo di crescita dei paesi trainanti, asiatici e latinoamericani, e l’ipotesi che con il rallentamento americano anche Obama corra rischi per la sua rielezione. Per le famiglie e le imprese italiane, sono tempi amari. La crisi del 2012 colpisce con grande durezza il 75 per cento del Pil composto da offerta e consumi di beni e servizi per il mercato interno, a differenza di quella 2008-2009 che pesava su export, cioè solo su un quarto del Pil. Per questo, con una recessione severa ma che pesa meno della metà di quella di allora, perdiamo invece il doppio in termini di consumi procapite, dovuti al minor reddito disponibile per il venire meno di quello da lavoro con l’impennata dei disoccupati, le enormemente accresciute pretese fiscali dello Stato, il credit crunch bancario, il fatto che tutti sono diventati cattivi pagatori, a cominciare ancora una volta dallo Stato insolvente verso le imprese per 7 punti di Pil, tra debiti commerciali e crediti fiscali. Con il minor reddito disponibile, scende anche la propensione al risparmio, che dal 17 per cento dei bei tempi di un decennio fa è oggi sotto il 10 per cento. Cresce l’avversione al rischio, la Borsa è sprofondata ai livelli di fine anni 80, cresce la tendenza a tenere quote sempre più elevate del proprio risparmio in cash, per la paura di una ulteriore botta “di sistema”, venga dallo Stato italiano oppure dall’imposizione di un programma straordinario impostoci da Ue e Fmi per abbattere il debito pubblico: ciò che la politica italiana ha la colpa di non aver saputo e voluto fare in tutti questi anni, in cui ha preferito alzare insieme spesa, tasse e debito.
È proprio per tutte queste ragioni, da film del terrore, che al contrario bisogna ragionare con molta attenzione sui propri risparmi, sul flusso da accantonare sul minor reddito, sul proprio stock patrimoniale, che per le famiglie italiane – loro formiche, lo Stato cicala – è assai più alto della media dei Paesi avanzati. Occorre scegliere con grande attenzione il professionista da cui farsi consigliare. Essere pronti a disintermediare e abbandonare le banche “storiche” da cui ci si serviva, poiché l’altissima fedeltà al proprio istituto, una fedeltà che gli italiani mostrano da sempre nella storia, alla lunga è un difetto, non un vantaggio. Perché bisogna sapere e ricordare che il sistema bancario italiano ha assai meno asset tossici di altri, a cominciare dalle banche tedesche, ma in questo 2012 vede venire al pettine alcuni gravi problemi strutturali. Abbiamo 55 agenzie bancarie per 100 mila abitanti, in Olanda sono 17. Troppi dipendenti, troppi mattoni, troppi costi fissi. Mentre la reddititivà di sistema tende a zero e bisogna ripatrimonializzare gli istituti di credito, con i soci storici che mancano a propria volta di capitali. Poco internet banking, basso il cross selling, cioè la capacità di offrire prodotti e servizi finanziari congegnati per le soglie di rischio, di reddito e di patrimonio di ciascuno. Mentre salgono le rettifiche da perdite sui crediti, visto che nella crisi si alza il numero di chi non è in grado di onorare gli impegni.
In questo quadro non facile per le banche italiane, a pagare è inevitabilmente il cliente. I fondi ingenti ottenuti dalle banche italiane con le aste straordinarie della Bce non sono bastati nemmeno a coprire le obbligazioni bancarie in scadenza nel 2012 e 2013, e in più lo Stato ha chiesto alle banche di tornare a comprare una media equivalente di circa 30 miliardi di euro di titoli pubblici al mese. Ecco perché le banche, che incorporano nei propri costi di funding lo spread dei titoli pubblici, alla fin fine non hanno di che dare a famiglie e imprese. Eppure, ripeto, delle allocazioni di risparmio sagge e interessanti, come somma tra rendimenti e rischio, ce ne sono eccome. Bisogna differenziare, non inseguire i mercati europei troppo erratici, guardare ai molti paesi che continueranno a crescere in maniera molto sostenuta negli anni a venire, pensare ai propri figli e a quando si sarà anziani, e non ci sarà il welfare pubblico a dare una risposta per tutti, se non ci avremo pensato prima. L’Italia è ancora molto ricca. Bisogna che impari a fare un miglior uso di ciò che suda con la sua fronte.