Commedia sentimentale e colorata, mai volgare, che vorrebbe fare il verso a Il favoloso mondo di Amélie (Jeunet, 2001). Vorrebbe, perché poi in realtà lo spunto rimane tale e solo in superficie. Due ragazze e un ragazzo: lo sfondo di una Roma solare e colorata; gli interni di un negozio disordinatissimo di modernariato. I tre si rincorrono all’impazzata: Franki (Giulia Michelini) insegue senza speranza il principe azzurro; Matteo (Andrea Bosca) è ancora innamorato della sua ex ragazza diventata gay e Camilla (Diane Fleri) insegue senza troppe speranze Matteo. Un triangolo diseguale che celebra a parole l’amore giovanile, sbarazzino ma non necessariamente immaturo. Peccato che tutto rimanga appunto a parole e la storia, pur ben confezionata e interpretata da tre ragazzi belli e bravi e che aderiscono con schiettezza ai propri personaggi, si indirizzi sin da subito sui binari della prevedibilità (con i troppi cliché messi in campo, non ultimo il personaggio della ragazza gay); dell’eccentricità a tutti i costi per sembrare originale (i caratteristi, il ragazzino e il cliente della parrucca nel negozio, troppo sopra le righe).
Il che forse nasce da una preoccupazione legittima: alla regista, Laura Luchetti, interessa e molto scostarsi dal facile filone di Moccia & Co, e in effetti Febbre da fieno, a partire dal titolo stravagante e attraverso anche una certa cura formale inclusa un’attenzione alla colonna sonora, è un oggetto diverso. Ma al film manca ancora tanto per smarcarsi del tutto da una tendenza al ribasso di certo nostro cinema sentimentale: i dialoghi e le situazioni non evitano le trappole del sentimentalismo autoreferenziale e i riferimenti troppo alti (non solo Amélie o Il riccio, ma persino Truffaut), se slegati o, come in questo caso, non ben maneggiati, possono diventare delle armi a doppio taglio. Né carne né pesce: né prodotto popolare basso di facile consumo ma nemmeno quella commedia sofisticata e leggera con cui si vorrebbe sintetizzare il cuore e i sogni di un’intera generazione.