Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Dove è stato negli ultimi due anni Gianni Alemanno, importante esponente della destra sociale italiana, ex ministro, ex sindaco di Roma, finito stritolato nell’inchiesta su Mafia Capitale? «Ho continuato a fare politica, da militante – racconta a Tempi. L’accusa a mio carico, la peggiore che possa essere rivolta ad un eletto, era troppo pesante perché potessi partecipare ad iniziative pubbliche». Alemanno sospira, sono stati mesi tremendi. E anche ora che la sua posizione è stata archiviata e che con Francesco Storace ha ricominciato ad affacciarsi sulla scena – è a capo di Azione nazionale e s’impegna in dibattiti per il No al referendum costituzionale – si dice affranto nel constatare che «spesso mi capita di sentire in tv il mio nome ancora accostato all’inchiesta. Dà una sensazione di impotenza».
È la solita vecchia storia. Il nome di Alemanno ha campeggiato per mesi sui quotidiani accanto all’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Due anni così, e spesso in prima pagina. Poi a ottobre la Procura ha chiesto l’archiviazione al gip per Alemanno, per il suo staff e per altre 115 persone. Bene, cioè male. Bene perché l’archiviazione «è la definitiva rimozione di un macigno che ha gravato per due anni sulla mia vita». Male perché questi lunghi mesi di calvario «chi me li restituirà? Tenga presente che, a parte una perquisizione burocratica, io non ho ricevuto alcun atto. Sono stati costruiti grandi castelli in aria a partire da fatti minimi. Sebbene l’abbia chiesto, non sono mai stato interrogato».
Intanto, però, il famoso ventilatore aveva iniziato a spargere la famosa sostanza. L’apice lo si raggiunse con la notizia che “Alemanno porta i soldi in Argentina”. Era l’8 dicembre 2014: i quotidiani riportarono un’intercettazione in cui Luca Odevaine affermava che in compagnia del figlio l’ex sindaco capitolino aveva compiuto quattro viaggi verso il paese sudamericano trasportando «valige piene di contanti». «Si rende conto?», dice oggi Alemanno a Tempi. «Tirarono in ballo pure mio figlio… una sofferenza. E, sebbene poi il giorno dopo la stessa procura avesse smentito, secondo lei dov’era finita la smentita?». Pagina 28 in un articoletto di taglio basso? «Esatto. Il falso in prima pagina, la verità nell’ultima. È proprio una gogna mediatica, hai la sensazione di essere “imputato a prescindere”, nemmeno le parole della Procura servono a riabilitarti».
Quando è stata resa nota l’archiviazione, solo allora s’è scoperto che tra gli indagati c’era anche il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. Nei suoi confronti è stata osservata un’invidiabile cautela che dovrebbe essere la norma e che invece è l’eccezione. «E questo sebbene io fossi un privato cittadino – chiosa Alemanno –, mentre lui il responsabile apicale di un’istituzione. Buon per lui: ha potuto svolgere le sue funzioni senza contraccolpi. Me ne rallegro sinceramente. D’altronde lo sappiamo che in Italia il garantismo vale generalmente più per gli esponenti di sinistra che per quelli di destra».
Il casting per Virginia Raggi
Ora che ha ricominicato a occuparsi della res publica, Alemanno soffre nel commentare le vicende della sua città amministrata da Virginia Raggi: «La situazione è grave, ma le radici del problema affondano nel triennio di gestione di Ignazio Marino. La qualità della vita è in continuo calo e il sindaco dimostra giorno dopo giorno la propria totale inadeguatezza. Per me è solo una mezza sorpresa nel senso che, conoscendo Raggi, sapevo che, fra gli stessi cinquestelle, era la più impreparata. Ma funzionava dal punto di vista dell’immagine e così, dopo il casting, hanno scelto lei». È un altro dei balordi effetti dell’antipolitica: «Se si alimenta una generale sfiducia nei confronti dei politici, poi è quasi inevitabile che ad amministrare arrivino persone con poche competenze».
Nemmeno il centrodestra è in salute. «Quell’esperienza, per come l’abbiamo conosciuta, è finita con il Pdl. Oggi dobbiamo ricostruire un centro e una destra distinti che si uniscono in un patto federativo. Esistono tante realtà che in questi anni si sono allontanate da noi. Ma siamo noi che siamo venuti a mancare, non il nostro elettorato. Quello c’è ancora, mancano i vertici e un’offerta politica credibile. Ne riparleremo dopo il referendum».
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